mercoledì 17 febbraio 2010

Berlusconi si affida a San Guido


MARCELLO SORGI

Di fronte alla commissione Ambiente della Camera e davanti ai telespettatori di Ballarò, Guido Bertolaso - il capo della Protezione civile al centro dello scandalo che in pochi giorni lo ha trasformato da mito in mostro -, ieri ha scelto di difendersi.

E’ suo diritto e lo ha fatto pacatamente, senza, per intendersi, la solita giaculatoria di accuse contro i magistrati, che Berlusconi sciorina ogni qualvolta si trova coinvolto in nuove inchieste. Bertolaso ha ribadito di essersi già presentato dimissionario di fronte al governo, che invece gli ha chiesto di andare avanti. E ha aggiunto che dopo un primo momento di disorientamento, in cui aveva pensato di tirarsi da parte, adesso invece è intenzionato ad andare avanti, proprio per difendere la struttura che ha diretto per otto anni e mezzo e che è stata finora un esempio di efficienza e abnegazione ammirato in tutto il mondo.

Ma ecco, rispetto a quest’immagine e ai risultati incredibili, e non scalfiti neppure da precedenti indagini, di un lavoro che ha portato, tra l’altro, in sei mesi, i terremotati dell'Aquila di nuovo sotto un tetto, e ha liberato le strade di Napoli da cataste di rifiuti abbandonati da un anno, la lettura dei verbali d'accusa della magistratura di Firenze, e delle intercettazioni che li corredano, rappresenta un capovolgimento.

Disinvoltura come regola, tra i collaboratori di Bertolaso, alcuni dei quali suoi parenti stretti. Privilegi inspiegabili e non direttamente connessi ai compiti che svolgevano. Familiarità non proprio irreprensibili con un gruppo di imprenditori - un gruppo ristretto - cinici al punto da ridere alle spalle dei terremotati, ai loro occhi solo un affare come un altro, e prima ancora che venissero tirati fuori dalle macerie. E attorno a ciò che la magistratura ha definito un insieme «gelatinoso», una ragnatela di favori e promesse, una frequentazione assidua e pressante, specie con gli altissimi funzionari arrestati che materialmente scrivevano le gare d’appalto, e inoltre un’intimità con il sottosegretario stretta fino ai massaggi, che l’accusato rivendica solo terapeutici, e i magistrati insistono a considerare qualcosa di più.

Con una colata di fango così, va detto, ci vuole fegato a difendersi e a sperare di venirne a capo. Ma se Bertolaso lo fa, protestandosi innocente, e al massimo vittima di un raggiro di collaboratori infedeli che avrebbe dovuto controllare meglio, è sulla base di alcune considerazioni. La prima è che al di là della «gelatina», i rapporti da compari tra pubblici ufficiali e imprenditori, la corruzione dev’essere provata dai magistrati a cui a sorpresa, innovando rispetto a una tradizione di insulti, il sottosegretario rinnova la sua fiducia. La seconda è che alcuni dei funzionari infedeli finiti in carcere, i loro incarichi e i loro superpoteri li avevano ricevuti dal precedente governo di centrosinistra. La terza è che, messa da parte la contestata privatizzazione della Protezione civile, Bertolaso ha riconquistato la fiducia di tutte le componenti del governo, compreso Bossi che ieri gliel’ha confermata pubblicamente.

Questa condotta che rimane molto azzardata ribalta insomma pienamente l’onere della prova sulla magistratura e le impone di fare presto. Decapitare la Protezione civile - un corpo speciale, che se ha abusato delle urgenze politiche, deve pur continuare a pensare alle numerose emergenze italiane - non è una questione ordinaria. Se è necessario, va fatto, perché in un Paese normale non è ammesso che ci siano intoccabili. Ma se la prova non salta fuori, Bertolaso, che oggi è crocifisso, domani potrebbe anche risorgere.

E’ proprio questa la scommessa del sottosegretario. Ed è la stessa dell’intero governo e del presidente del Consiglio. Insieme al caso Protezione civile, Berlusconi infatti è alle prese, in questi stessi giorni, con quelli di Milano e di Firenze, che toccano un esponente locale e uno dei coordinatori nazionali del Pdl. Il clima è orrendo: in quella che fu la capitale di Tangentopoli, si parla apertamente di un ritorno in grande stile della corruzione. Con al centro, però, non il vecchio gruppo dei partiti della Prima Repubblica, ma quello, nuovo, fondato dal Cavaliere.

In questo quadro la caduta del sottosegretario e la rappresentazione della sua struttura come il perno della corruzione nazionale avrebbero chiaramente travolto l’intero governo. Per questo Berlusconi e tutto il centrodestra hanno frenato. Il Cavaliere ha costruito la sua fortuna politica, quindici anni fa, proprio sulle macerie di un sistema politico travolto dall’ondata dei processi, e oggi non può rischiare di scivolare sullo stesso terreno. E tuttavia, se la difesa di un Bertolaso ammaccato, ma ancora in piedi, è un azzardo che ha una logica, pur discutibile, quella di un partito che a due anni dalla sua nascita mostra già evidenti segni di cedimento, non è ammissibile. Berlusconi è il primo a sapere che in questo senso, se vuole rimediare a quel che è successo, dovrà fare presto delle scelte.

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