di CURZIO MALTESE
Con il tempo tutti i protagonisti della vita pubblica italiana diventano maschere della commedia dell'arte. Vuoi per interesse, vuoi per naturale propensione, Guido Bertolaso ha bruciato le tappe. La centesima volta che lo vedi in tv con il maglioncino dell'uomo del fare, mentre ripete all'infinito il mantra, "la gente mi spinge a tener duro", "io vado avanti e mi occupo di problemi seri", ti vien voglia di denunciarlo per un crimine non iscritto nel codice penale, ma in Italia propedeutico a tutti gli altri: la retorica.
Retorica a palate, è il caso di dire. A valanga, a frana, a slavina, alluvionale. Con un vocabolario di cento parole al massimo, fra le quali spicca il verbo fare. Fare, fare, fare. Ogni tanto, anzi spesso, dire. Mai baciare, per carità. Figurarsi lettera (di dimissioni) o testamento (politico, s'intende). È il gioco di Bertolaso, il suo canovaccio. Da maschera della commedia dell'arte, appunto: il Capitano. Una delle più antiche, nipote del miles gloriosus, e con mille varianti, Capitan Fracassa, Spaventa, Matamoros, Corazza, Rinoceronte, Spezzaferro, Spaccamonti, Rodomonte e sì, Terremoto. Il Bertolaso le incarna tutte in un corpo solo, ormai tutt'uno con la divisa della Protezione Civile. Uomo d'azione, del fare e non del pensare, quindi vittima generosa e ingenua di astuti marpioni. "Non avevo il tempo di controllare, di fare il poliziotto, il commissario". Ma se non aveva mai tempo prima, dove lo trova ora tutto 'sto tempo per stare in televisione dalla mattina su Canale 5 fino alla sera su Ballarò, senza contare i telegiornali, le interviste sui quotidiani, gli speciali, le apparizioni ovunque? Proprio lui, che da Haiti aveva dichiarato con disprezzo: "Troppi show in televisione sono sempre un segnale pessimo, ci si esibisce per le telecamere e in concreto non si fa nulla per le vittime". Già. Poi uno si lamenta se i Clinton lo mandano a quel paese.
La strategia della difesa dai processi via etere gli è stata di sicuro suggerita dal suo grande sponsor, Silvio Berlusconi, che la usa con successo da vent'anni. La televisione è il gran lavacro nazionale. Ma per taluni aspetti l'allievo sta superando il maestro. Anzitutto, il volume di fuoco. Bertolaso è in questi giorni onnipresente, Rai, Mediaset, La7, Sky. Si porta dietro le telecamere nei sopralluoghi in Sicilia e Calabria, dove non parla delle frane reali ma del fango metaforico che è piovuto addosso a lui. Con involontaria ironia aggredisce la "barbarie di processi fatti sui media e non nelle aule dei tribunali". "Nei processi mediatici - enuncia - la verità è l'ultima cosa che interessa, si cercano le emozioni del pubblico". Vale anche per l'arringa della difesa? Il Capitano sorpassa il modello berlusconiano per vittimismo, che sembrava impossibile. Sul sito della Protezione Civile, altro strumento assai improprio di difesa personale, si definisce un "alluvionato" e si paragona alle "tante vittime di catastrofi che abbiamo soccorso in questi anni".
Ma dove Capitan Bertolaso non teme davvero confronti, né col maestro né con le maschere della commedia dell'arte, è nell'auto elogio. Da un lato delle proprie mirabolanti imprese, ai limiti del sovrumano. Dall'altro, di un'onestà proverbiale, implicita, ovvia, che non ha dunque alcun bisogno di essere dimostrata, quasi fosse un elemento della natura. Un'onestà fanciullesca, che sconfina nel candore e nell'idiozia, in senso dostoeskiano. Perfino Berlusconi avrebbe infatti qualche imbarazzo a dipingersi così, sia pure a fin di bene. Capitan Bertolaso, forza della natura, uomo del fare, esibisce invece una purezza assoluta. Lui era lì che vangava nel fango e non s'è accorto di nulla, delle ruberie, degli appalti truccati, degli sciacalli che ridevano alla notizia dei terremoti. Non s'è chiesto a che cosa servisse buttare 300 milioni per un centro congressi sull'isola della Maddalena e perché la maggior parte fossero appaltati a un'azienda con una ventina di dipendenti. Non s'è mai neppure domandato perché il titolare dell'azienda, l'Anemone, fosse tanto premuroso con lui da aprire e chiudere a comando il suo centro sportivo, organizzare feste e incontri. Devono avergli detto anche che per farsi un messaggio alla cervicale bisognava portare i preservativi e il Capitano li ha portati, senza pensare che poi magari la stampa ci avrebbe malignato sopra. Tangenti, mazzette, prostitute, ma scherziamo? Può essere corrotto un uomo che da anni indossa lo stesso golfino blu? Siamo al solito incubo kafkiano, all'incipit di ogni processo italiano. "Qualcuno doveva aver calunniato il povero Joseph K. perché una mattina, senza che avesse fatto nulla di male, fu arrestato...".
(23 febbraio 2010)
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