lunedì 22 febbraio 2010

CARMELO CURRO’ PRESENTA L’OPERA DI PIETRO DA EBOLI


Affollato incontro, il 6 gennaio, nel salone delle Conferenze del centro Nuovo Elaion di Eboli, per la presentazione dell’opera di Pietro da Eboli De rebus siculis carmen - Liber ad honorem Augusti, realizzata a cura di Mariano Pastore. Appassionato studioso e divulgatore della storia cittadina, Pastore ha studiato e riprodotto in splendidi esemplari l’opera miniata del famoso Poeta medievale, scoperta manoscritta nel Settecento nella Biblioteca civica di Berna. Il lavoro è stato possibile per l’amore che nutre per la sua terra il Dott. Cosimo De Vita Presidente del Centro Nuovo Elaion novello mecenate ha finanziato completamente l’opera che verrà pubblicata al più presto possibile, e quest’anno per merito suo la giostra medioevale che da anni porta all’attenzione nazionale la sua amata Eboli sarà dedicata alla donazione del Liber ad Honorem Augusti che Pietro da Eboli fece a Enrico VI. A presenziare la manifestazione è stata la padrona di casa dott.ssa Carmen De Vita che dopo i rituali ringraziamenti alle autorità e al pubblico presente, con leggiadria ha letto un privilegio che Federico II di Svevia diede alla città di Eboli nel 1221.

A presentare l’annoso lavoro è stato Carmelo Currò il quale, per la vastità delle sue conoscenze sull’argomento e per la profondità della relazione ha ancora una volta stupito il foltissimo pubblico, tra cui si trovavano il sindaco di Eboli Martino Melchionda, l’ex-sindaco onorevole Gerardo Rosania, l’ex-ministro delle Aree urbane Carmelo Conte, il consigliere provinciale Massimo Cariello e la Giunta comunale.

Carmelo ha prima di tutto illustrato la figura umana di Piero da Eboli, facendo giustizia delle sovrastrutture che lo volevano ora chierico, ora medico, ora notaio, e individuando la sua opera entro gli schemi di una conoscenza giuridico-tecnica e di un sapere scientifico-pratico che era molto lontano da quello della Scuola medica salernitana. Non medico, dunque, dal momento che alcune parole usate dal Poeta nelle sue opere tradiscono una conoscenza non approfondita dei termini in uso dai famosi clinici salernitani; e in contrasto con loro in quanto sostenitore, nel De balneis puteolanis, della terapia con i bagni solfurei, la cui efficacia era invece negata a Salerno.

Piuttosto, uomo di cultura che, sulla scia dei grandi poemi cronacistici francesi, inglesi e meridionali, voleva raccontare le vicende del Regno di Sicilia dal tempo dei Normanni fino all’ascesa al trono degli Svevi. Probabilmente l’introduzione alla Corte degli Svevi trasformò l’indirizzo didascalico dell’Opera in poema elogiativo per la nuova Dinastia, la cui raffigurazione allegorica in figure mitologiche e nei luoghi comuni dell’esaltazione personale, lasciava immaginare un ritorno all’Età dell’Oro realizzata in pieno da Federico II.

Si trattava forse della prima opera propagandistica in favore della Dinastia. Un poema che procedeva dalla necessità di rendersi grato al sovrano il cui padre Enrico VI non era stato per niente prodigo di misericordia con la vicina Salerno, i cui abitanti si erano resi colpevoli di aver preso prigioniera l’imperatrice Costanza e di averla mandata a Palermo presso il re Tancredi che le contendeva il Regno di Sicilia. Salerno distrutta, l’arcivescovo deportato in Germania per anni, gli uomini quasi tutti uccisi, rappresentavano per molti un trauma che poteva essere superato non con inutili ribellioni ma con una adesione senza remore al sanguinoso regime svevo.

La favola dei re biondi, belli, colti e buoni, a lungo coltivata dalla letteratura e dalla storia, prende il via in Italia proprio dalla straordinaria fortuna e diffusione di quest’Opera che considera i ribelli come persone con la mente di un bambino, e che intende preservare da qualsiasi sospetto concittadini e amici dell’Autore.

Sarà una storia aurea, quella degli Svevi, ancora più amplificata all’indomani della conclusione dell’alleanza in chiave antifrancese tra Italia, Germania e Austria e che verrà rotta solo con la prima guerra mondiale; e che doveva acculturare con la consueta procedura scolastica “subliminale” le giovani generazioni, facendo credere nell’assoluta superiorità spirituale di un principe tedesco contro il campione della Chiesa che fu il nuovo sovrano Carlo d’Angiò, deposto dal Papa e proclamato re di Sicilia. Una storia ingigantita con la seconda tragica alleanza fascista conclusa con la Germania, che ancora una volta ribadiva con energia lo splendore della Dinastia sveva ed esaltava la figura e l’opera di Federico II, ponendo l’accento sulle sue doti culturali ed ignorando le sue disastrose avventure militari e le loro conseguenze sulle finanze del Regno, ridotto in uno stato di estrema miseria, sfociato per i sudditi nel lavoro festivo obbligatorio. Non è un caso, ha ribadito Carmelo Currò, che Federico II, per molti suoi contemporanei giudicato un anticristo, abbia trovato un estremo studioso ed ammiratore in Ernst Kantarowicz, e nella sua biografia pubblicata due anni prima dell’ascesa di Hitler al potere, e prima che l’Autore potesse rendersi conto personalmente (in quanto ebreo) delle conseguenze della sua stessa adesione al nazionalsocialismo.

Grande elogio per Mariano Pastore. Un uomo, ha detto Carmelo Currò, in grado di immaginare una grande realizzazione e che ha saputo sostenere il suo sogno studiando e lavorando per anni fino alla pubblicazione della prima parte dell’Opera di Pietro da Eboli che restituisce alla città la fruizione del lavoro di un suo grande figlio.


Mariagrazia Managò

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