mercoledì 17 febbraio 2010

Dalla Camera a Ballarò. Il lungo giorno di Guido


Alla Camera, fuori dall’aula della commissione Ambiente, si sfiora il feticismo. I cronisti incrociano le informazioni e compilano il consuntivo: Guido Bertolaso è andato a fare pipì due volte. Succede perché non appena un deputato esce dalla Commissione, qualcuno gli chiede di Bertolaso: come sta? Cosa fa? Eppure le linee sono contraddittorie. Gabriele Cimadoro, dell’Italia dei Valori, ha visto un Bertolaso «tosto, combattivo». Ermete Realacci, del Partito democratico, lo ha visto «un po' provato».

Sono giorni così. Si scannerizza la giornata di Bertolaso, fra i lavori in Commissione, le visite al premier e fino a sera, con la battaglia di Ballarò. Ha deciso di andare in televisione, dicono i suoi, perché non c’era alternativa. Non c’era alternativa? Insomma, i magistrati fiorentini si sono già dichiarati incompetenti. L’inchiesta dovrebbe passare a Roma e poi subito a Perugia, visto che fra gli indagati c’è anche un giudice della capitale. E così, non avendo un pm davanti al quale spiegare le proprie ragioni, Bertolaso va a spiegarle da Giovanni Floris. Una che la sa lunga ci mette sopra una lapide: «Anche questo è un segno dei tempi».

E così, dopo cinque ore e mezzo in Commissione (dove si è discusso del decreto sulla Protezione civile e dove Bertolaso ha fatto il punto del governo, un punto concordato in mattinata con Gianni Letta), il sottosegretario è uscito e al termine di un veloce summit fra cronisti si è giunti alla sintesi: stanco ma non piegato. E stanco di certo, e non da ieri e non soltanto per le inchieste. Nel 2009 provò pure a mettersi a riposo e quasi ci stava riuscendo: profittando di una norma della legge anti fannulloni di Renato Brunetta, formulò la domanda di prepensionamento e, nel cumulo di lavoro, Letta la firmò senza badarci, e quando se ne rese conto richiamò Bertolaso e gli chiese se per caso era diventato matto. Bertolaso, che era già d’accordo di impiegarsi col Cuamm Medici per l’Africa, dovette rinunciare.

E’ stanco perché rivolgersi a Bertolaso era diventata una moda, ogni giorno qualcuno se ne inventava una, e i collaboratori di Bertolaso tirano fuori le carte, c’è il presidente del municipio XVII di Roma (quartiere Prati) che chiede l’intervento della Protezione civile perché edifichi un asilo provvisorio in legno: per quello definitivo in calce e mattoni manca la delibera. E’ purissima storia d’Italia, questa. Tutta un’indispensabilità che ora è diventata ingerenza. O ingratitudine. O invidia. Sono queste le definizioni che girano. E insomma, pare davvero di capire - i suoi lo giurano - che Bertolaso davvero prenderebbe su per l’Africa, e non alla Walter Veltroni, se soltanto il governo lo liberasse.

Alle 15,30 era tutto finito, in Commissione, e Bertolaso si è fermato a rispondere a un paio di domande, e poi è filato a Palazzo Grazioli. Ancora un breve incontro con Letta, quindi uno più lungo con Silvio Berlusconi, dieci minuti per concordare la difesa televisiva, altri dieci perché Bertolaso uscisse dalla chiacchierata con la convinzione che davvero sarà lui, ancora per un po’, il Capo della Protezione civile. E così Berlusconi è sempre al suo fianco, la moglie (qui però siamo alle spifferate di amici degli amici), dopo un po’ di scombussolamento iniziale, ha giurato di credere all’innocenza del marito, e non soltanto nelle questioni d’interesse pubblico, ma anche in quelle d’interesse più strettamente privato.

Insomma, ieri sono successe cose più importanti del previsto. Non per niente, a Ballarò, Bertolaso ha esordito sostenendo che la determinazione con cui si era dimesso, quando saltò fuori lo scandalo, si era già trasformata in determinazione ad andare avanti, sempre che l’esecutivo lo sostenga (e lo sosterrà). Non per niente, notano gli interpreti più accreditati della «bertolasità», aveva trascorso la giornata - fra Montecitorio, Palazzo Chigi e Palazzo Grazioli - in abito blu e cravatta, e davanti alle telecamere si è presentato con l’amata divisa: maglioncino coi bordi tricolore. E infine gli avversari più duri, come Antonio Di Pietro, che alza la voce e tira fuori gli occhi dalle orbite, urla, arresterebbe questo e quello ma, conclusa la requisitoria televisiva, al sottosegretario concede l’onore delle armi, gli manifesta stima, gli appoggia la mano sulla mano sorridendogli. E’ quasi notte, e quelli di Bertolaso dicono: è ora di ripartire.

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