lunedì 8 febbraio 2010

L'ATTIVITA' DI OSSERVAZIONE E TRATTAMENTO


di Luigi Morsello *


L’attività di osservazione e trattamento è disciplinata da norme di legge e norme regolamentari.


La legge 26 luglio 1975 n. 354 (O.P) detta le linee guida negli articoli 1, 13 e 15.


Il Regolamento di Esecuzione (R.E.) (d.P.R. 30 giugno 2000 n. 230 ) dedica all’argomento gli articoli 1, 27, 28 e 29.


La legge 26 luglio 1975 n. 354 (O.P.).


L’art. 1 (Trattamento e rieducazione) della legge 354/75 recita:


“1. Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto delle dignità della persona.


2. Il trattamento è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose.


3. Negli istituti devono essere mantenuti l'ordine e la disciplina. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabili a fini giudiziari.


4. I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loro nome.


5. Il trattamento degli imputati deve essere rigorosamente informato al principio che essi non sono considerati colpevoli sino alla condanna definitiva.


6. Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti.”.


La filosofia del legislatore del ’75 è rimarcata al comma 4, che prescrivere “i detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loro nome”.


Non sembra tale a prima vista, ma è stata una rivoluzione copernicana.


Si dava un taglio netto con il passato e con l’arcaica ed oppressiva norma del Regolamento del 1931, che:


1) assegnava ai detenuti un numero di matricola (art. 78 R.D. 18 giugno 1931 n. 748),


2) il quale, fino agli inizi degli anni ‘50, faceva ancora bella mostra di sé sul ‘vestiario a strisce’ che i detenuti erano costretti ad indossare (art. 70 R.D. 787/31 cit.), per il quale l’uso era obbligatorio per i condannati a pena maggiore di un anno. L’A. ha avuto modo di vederlo ancora nel 1967.


La circolare n. 4014/2473 del 1° agosto 1951 aboliva questa norma ormai riconosciuta universalmente come umiliante e triste retaggio di un regime dittatoriale.


Il momento di maggiore significato, che rappresenta il picco più alto nell’attuazione della Costituzione (art. 27), il punto più alto dell’etica di uno stato civile di altissima civiltà giuridica, lo si rinviene nel comma 1 dell’art. 1: il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona.


Non meraviglia che la Cassazione penale abbia sentenziato, in tema di affidamento in prova al servizio sociale, che la finalità rieducativa di tale misura alternativa alla detenzione non viene meno quando il soggetto sia bensì integrato nel tessuto sociale, ma come elemento deviante e capace di influenzare l'ambiente in direzione incompatibile con le regole del diritto e dell'ordinato vivere civile. (Principio affermato, nella specie, con riferimento a soggetto al quale era stata applicata una pena per reati di corruzione, ricettazione e violazione delle norme sul finanziamento pubblico ai partiti politici, commessi nell'esercizio dell'attività di amministratore di una società di capitali). (Cassazione penale, sez. I, 10 gennaio 2002, n. 15680).


I commi 5 e 6 stabiliscono un ineludibile spartiacque fra imputati e condannati ed internati.


La condizione di imputato, la presunzione di innocenza, non consentono l’adozione di un trattamento rieducativo, ma non significa disinteresse dello Stato per questi cittadini, nei cui confronti un trattamento può e deve essere attuato, ma in misura e nei modi in cui venga assicurato il rispetto del principio di innocenza citato.


In tema di benefici penitenziari e, segnatamente, di liberazione anticipata, attesa l'espressa previsione, contenuta nell'art. 54 comma 1 0.P, della valutabilità anche di tale periodo, e tenuto conto che la stessa norma indica, come condizione comunque indispensabile per la fruizione del beneficio, l'avvenuta partecipazione all'opera di rieducazione, fa necessariamente concludere che detta partecipazione deve risultare anche con riguardo al periodo di custodia cautelare; il che è possibile dal momento che il detenuto in stato di custodia cautelare è comunque sottoposto ad un "trattamento", come si desume dalla formulazione dell'art. 1 comma 5, l. 26 luglio 1975, n. 354, e può essere ammesso, a sua richiesta, ai sensi dell'art. 15 comma 3, della stessa legge, a partecipare ad attività anche di carattere espressamente definito come "educativo". (Cassazione penale, sez. I, 23 maggio 1994).


Il trattamento penitenziario costituisce, dal punto di vista giuridico, un obbligo di fare per l'amministrazione penitenziaria che si sostanzia in una offerta di interventi, i quali, però, non sono dalla legge considerati atomisticamente, ma sono finalizzati, tramite l'osservazione scientifica della personalità del soggetto, alla predisposizione di un programma individualizzato di trattamento, i cui risultati devono essere periodicamente valutati per le varie esigenze previste dalla legge sull'ordinamento penitenziario. Il fine di favorire il graduale reinserimento del soggetto nella società costituisce l'obiettivo della misura alternativa alla detenzione del regime di semilibertà, la quale deve essere disposta "in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento", sì che è in relazione a quest'ultimo parametro che la relativa valutazione deve essere effettuata. La motivazione costituisce lo strumento che rende possibile controllare la fedeltà del giudice alla legge in quell'opera di attuazione delle prescrizioni normative in cui si esprime la "iuris dictio": il provvedimento che fa applicazione della legge deve, infatti, essere accompagnato dalla "ratio decidenti", sia per quel che attiene alla individuazione della fonte normativa che giustifica il provvedimento, la quale può anche essere implicita e sostanzialmente risultare dalla motivazione nel suo complesso, sia per quel che concerne la necessaria coincidenza razionale fra la protasi della norma (la cosiddetta fattispecie legale) e la situazione di fatto presa ad oggetto della decisione (la cosiddetta fattispecie reale o concreta), la quale, però, deve essere resa in forma esplicita, perché solo attraverso la relativa enunciazione il giudice dà conto concretamente della decisione racchiusa nel dispositivo del provvedimento. Il giudizio concernente l'adozione delle misure alternative alla detenzione è fondato sulle risultanze del trattamento individualizzato condotto sulla base dell'esame scientifico della personalità e la relativa motivazione non può limitarsi a vuote formule di stile o al semplice richiamo dei testi normativi, ma deve dimostrare, con puntuale riferimento alla fattispecie concreta, l'avvenuta valutazione di tutti i criteri previsti dalla legge, che hanno condotto all'accoglimento o al rigetto dell'istanza e della proposta. (Nella specie il giudice del merito aveva rigettato l'istanza di ammissione al regime di semilibertà, affermando che "i risultati delle indagini non consentono un giudizio positivo sulle possibilità di graduale reinserimento del condannato nella società". La Cassazione ha annullato l'ordinanza, con rinvio allo stesso giudice).(Cassazione penale, sez. I, 29 marzo 1985).


Il trattamento rieducativo si avvale e si avvantaggia anche dei contatti con l’ambiente esterno e deve essere calato sulla personalità di ogni singolo soggetto in espiazione di pena, mentre è bandita ogni tipo di discriminazione, in ordine a razza, religione, nazionalità, condizioni economiche e sociali, opinioni politiche.


Il principio della individualizzazione del trattamento ha portato ad affermare che in sede di giudizio per l'ammissione al regime dell'affidamento in prova al servizio sociale - così come per l'applicazione di ogni altra misura alternativa alla detenzione deve aversi esclusivo riguardo ai risultati del trattamento individualizzato, senza fare riferimento nè alla gravità del reato commesso, nè alla pericolosità ritenuta dal giudice di cognizione, nè, ovviamente, ai precedenti penali e giudiziari - che della pericolosità costituiscono elementi sintomatici - del soggetto interessato e ciò proprio perché tutti questi elementi (gravità dei reati commessi e personalità dell'autore) costituiscono gli elementi di base per l'esame scientifico della personalità e per la individualizzazione del trattamento. Nel procedimento per l'adozione di misure alternative alla detenzione, la valutazione concernente la gravità del reato o la personalità del suo autore, è assorbita in quella più ampia concernente le risultanze dell'osservazione scientifica della personalità che - diretta all'accertamento dei bisogni di ciascun soggetto connessi alle eventuali carenze fisio-psichiche, affettive, educative e sociali, che sono state di pregiudizio all'instaurazione di una normale vita di relazione - si fonda sull'acquisizione di dati biologici, psicologici e sociali e alla loro valutazione con riferimento al modo in cui il soggetto ha vissuto le sue esperienze ed alla sua attuale disponibilità ad usufruire degli interventi del trattamento.(Cassazione penale, sez. I, 24 giugno 1982).


Da quasi subito il trattamento individualizzato ha prevalso su quanto era stato affermato, in tema di affidamento in prova, ma più in generale di misure alternative alla detenzione, che il giudice potesse tenere conto non soltanto dei precedenti penali del soggetto, considerati come indici della sua capacità a delinquere, ma anche di quelli pendenti per fatti anteriori o successivi alla sua detenzione, in quanto i precedenti penali assumevano un significato sintomatico della personalità del detenuto e dovevano essere valutati allo scopo di apprezzare i fatti che ne sono alla base e che risultino sufficientemente certi come indici del comportamento tenuto dal condannato prima o dopo il suo ingresso in carcere.(Cassazione penale, sez. I, 20 maggio 1982).


Questo orientamento è rimasto, fortunatamente, isolato.


La misura rieducativa principe è il lavoro prestato dai detenuti, sia in favore dell'amministrazione penitenziaria all'interno o all'esterno dell’istituto penitenziario presso il quale si applica la pena restrittiva della libertà personale, sia all'esterno ed alle dipendenze di altri datori di lavoro, il quale, pur non essendo regolato da norme identiche a quelle concernenti l'ordinario rapporto di lavoro, deve, tuttavia, ritenersi a questo assimilabile, anche sotto il profilo della responsabilità gravante sul datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c., con la conseguenza che appartengono alla competenza del giudice del lavoro le controversie promosse dal detenuto al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a cagione della mancata adozione delle cautele antinfortunistiche imposte dal citato art. 2087 c.c..(Cassazione civile, sez. lav., 19 luglio 1991, n. 8055).


Condizione imprescindibile, necessaria ma non sufficiente, è il mantenimento dell’ordine e della disciplina.


La necessità della individualizzazione del trattamento è disciplinata dall’art. 13 L. 354/75, il quale recita:


“1. Il trattamento penitenziario deve rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto.


2. Nei confronti dei condannati e degli internati è predisposta l'osservazione scientifica della personalità per rilevare le carenze fisiopsichiche e le altre cause del disadattamento sociale.


3. L'osservazione è compiuta all'inizio dell'esecuzione e proseguita nel corso di essa.


4. Per ciascun condannato e internato, in base ai risultati dell'osservazione, sono formulate indicazioni di merito al trattamento rieducativo da effettuare ed è compilato il relativo programma, che è integrato o modificato secondo le esigenze che si prospettano nel corso dell'esecuzione.


5. Le indicazioni generali e particolari del trattamento sono inserite, unitamente ai dati giudiziari, biografici e sanitari, nella cartella personale, nella quale sono successivamente annotati gli sviluppi del trattamento praticato e i suoi risultati.


6. Deve essere favorita la collaborazione dei condannati e degli internati alle attività di osservazione e di trattamento.”


Va detto che l'osservazione della personalità del condannato, costituente presupposto per l'affidamento in prova al servizio sociale, malgrado sia qualificata "scientifica" dalla legge, non deve necessariamente consistere in un approccio sempre sostenuto dall'uso di specifici strumenti tecnici, potendo invece attuarsi (in conformità delle più moderne teorie psicologiche e criminologiche) sulla base di schemi liberi, che diano opportuno rilievo alle possibilità cognitive od interpretative della personalità del condannato. (Cassazione penale, sez. I, 19 febbraio 1979).


Gli elementi del trattamento sono individuati nell’art. 15, il quale recita:


“1. Il trattamento del condannato e dell'internato è svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia.


2. Ai fini del trattamento rieducativo, salvo casi d'impossibilità, al condannato e all'internato è assicurato il lavoro.


3. Gli imputati sono ammessi, a loro richiesta, a partecipare ad attività educative, culturali e ricreative e, salvo giustificati motivi o contrarie disposizioni dell'autorità giudiziaria, a svolgere attività lavorativa o di formazione professionale, possibilmente di loro scelta e, comunque, in condizioni adeguate alla loro posizione giuridica.”


Il d.P.R. 30 giugno 2000 n. 230 (R.E.).


La dichiarazione di apertura sugli interventi del trattamento è contenuta nell’art. 1, che recita:


“1. Il trattamento degli imputati sottoposti a misure privative della libertà consiste nell'offerta di interventi diretti a sostenere i loro interessi umani, culturali e professionali.


2. Il trattamento rieducativo dei condannati e degli internati è diretto, inoltre, a promuovere un processo di modificazione delle condizioni e degli atteggiamenti personali, nonchè delle relazioni familiari e sociali che sono di ostacolo a una costruttiva partecipazione sociale.


3. Le disposizioni del presente regolamento che fanno riferimento all'imputato si estendono, in quanto compatibili, alla persona sottoposta alle indagini.”.


Non appare ben chiaro all’A. il significato del comma 3, in cui il legislatore delegato afferma che le disposizioni contenute nel Regolamento di Esecuzione si estendono, per quanto compatibili, alla persona sottoposta ad indagini.


L’A. considera questa perplessità come una propria limitazione, dato il ginepraio che è diventato il nuovo (si fa per dire) codice di procedura penale del 1988, fino al punto che è stata insediata dal Ministro Mastella una commissione di riforma dello stesso.


L’A. nella propria quasi quarantennale attività lavorativa, cessata agli inizi del 2005, trascorsa alla direzione di numerosi istituti di pena, non ha mai avuto modo di osservare una estensione delle norme del Regolamento di Esecuzione alle persone sottoposte ad indagini.


Va detto, per completezza, che la precedente norma regolamentare (d.P.R. 29 aprile 1976 n. 431) poi sostituita con l’attuale, definiva gli interventi di trattamento all’art. 1, privo di questo comma.


I commi 1 e 2 danno contenuti più dettagliati ai principi enunciati nella legge del 1975.


Il comma 1 definisce i limiti del trattamento che può, anzi deve, essere riservato agli imputati: sostenere i loro interessi umani, culturali e professionali.


Va detto che l’esperienza di 20 anni consente di rimarcare la prevalenza del profilo umano della condizione dell’imputato sottoposto a misura privativa della libertà personale, anche quando non si tratta della prima volta.


Però è stato dato di osservare alcuni casi di bisogni professionali, molto meno di interessi culturali.


Quanto è definito dal comma 2 solo in apparenza, sembra superficiale, o peggio, velleitario: promuovere un processo di modificazione delle condizioni e degli atteggiamenti personali. Non è certo facile stimolare un processo di rivisitazione del proprio vissuto criminale, né questo compito può essere fatto gravare sulle spalle degli esperti (psicologo, criminologo) che la legge (art. 80 L. 354/75) pone a disposizione dell’Amministrazione penitenziaria.


La presenza di queste nuove figure professionali, inesistenti nell’ordinamento del 1931, è, com’è ovvio, condizione necessaria, ma non sufficiente per avviare un processo di modificazione dei comportamenti, che deve passare attraverso una modificazione dei valori e della loro percezione.


Occorre, cioè, che il clima psicologico, quello che in passato veniva definito l’”ambiente del carcere”, concorra a completamento ed in soccorso dell’attività degli esperti.


Occorre una modificazione culturale del personale che nel carcere ci lavora e sta a diretto contatto con i detenuti, processo di modificazione culturale iniziato 15 anni fa e ancora lontano dal completamento.


Fino alla recente legge di concessione dell’indulto, il sovraffollamento, disumano e crudele, ostacolava fortemente il ricambio dei processi culturali su entrambi i fronti. Di ciò i tanti detrattori dell’indulto non sembrano essersi resi conto, ad iniziare dalla magistratura che non conosce il carcere, l’ambiente del carcere, per continuare con i tanti politici di primo e secondo piano, che parlano di “certezza della pena”, senza spiegare che cosa è, fieri avversari della parte più innovativa dell’ordinamento penitenziario, il settore delle misure alternative alla detenzione.


È un paradosso, ma all’A. ritornano alla mente vecchi arnesi della cultura e della politica dell’esecuzione penale, che rimbalzavano all’interno dei penitenziari, laddove si erano stratificati, del tipo: “chiudeteli in cella e buttate via le chiavi”.


Oggi, si ripete, si sentono frasi del tipo: “la certezza della pena”, che, verosimilmente, vuol significare farla scontare tutta senza sconti, perché le misure alternative alla detenzione non funzionano (poco, n.d.a.).


Gli articoli 27, 28 e 29 del R.E. concernono l’osservazione della personalità, l’espletamento di tale osservazione ed il programma individualizzato di trattamento.


Le attività sopra menzionate sono svolte da un organo collegiale, denominato Gruppo di Osservazione e Trattamento (G.O.T.), definizione desunta dall’art. 82, comma 1 O.P. (Attribuzione degli educatori), che recita:


“1. Gli educatori partecipano all'attività di gruppo per la osservazione scientifica della personalità dei detenuti e degli internati e attendono al trattamento rieducativo individuale o di gruppo, coordinando la loro azione con quella di tutto il personale addetto alle attività concernenti la rieducazione.”, ma contenuta anche nell’art. 29, comma 2 R.E., di cui si dirà in seguito.


L’art. 27 R.E. (Osservazione della personalità).


La prescrizione più rilevante per una norma di attuazione è contenuta nel comma 2, il quale recita: “2. All'inizio dell'esecuzione l'osservazione è specificamente rivolta, con la collaborazione del condannato o dell'internato, a desumere elementi per la formulazione del programma individualizzato di trattamento, il quale è compilato nel termine di nove mesi.”.


Questo comma prescrive che l’osservazione ha inizio contemporaneamente all’inizio dell’esecuzione di sentenza irrevocabile, e entro nove mesi approda alla formulazione di un programma di trattamento.


L’indicazione temporale (nove mesi) è un limite massimo, per cui può il programma di trattamento essere formulato anche prima.


Il G.O.T., che è presieduto dal direttore del carcere e la cui segreteria tecnica è affidata all’educatore, lavora in collaborazione con l’ufficio della “matricola detenuti”, una espressione entrata nell’uso comune da tempo immemorabile, cui compete, quando ne viene fatta richiesta dalla segreteria tecnica, “l’acquisizione di dati giudiziari e penitenziari”, mentre l’acquisizione di quelli “clinici” è compito affidato al servizio sanitario penitenziario, quelli” psicologi” agli esperti (psicologo o criminologo), quelli “sociali” all’Ufficio per l’esecuzione penale esterna (U.E.P.E.).


A questo punto il G.O.T. effettua una “valutazione” del materiale raccolto, “con riferimento al modo in cui il soggetto ha vissuto le sue esperienze e alla sua attuale disponibilità ad usufruire degli elementi del trattamento”.


L’attività del G.O.T. entra, finalmente, nel cuore del problema, della identificazione delle condotte antisociali e delle loro motivazioni. “Sulla base dei dati giudiziari acquisiti viene espletata, con il condannato o l’internato, una riflessione sulle condotte antigiuridiche poste in essere, sulle motivazioni e sulle conseguenze negative delle stesse per l’interessato medesimo e sulle possibili azioni di riparazione delle conseguenze del reato, incluso il risarcimento del danno alla persona offesa” (art. 27, comma 1, seconda alinea).


Detto così sembra un meccanismo agevole e scorrevole, capace di funzionare alla perfezione.


Nella realtà non è così. Naturalmente, non è così semplice, perché nella pratica lavorativa, occorre fare i conti con le risorse di cui si ha disponibilità, costantemente scarse ed cronicamente insufficienti.


Il primo dato di segno negativo è individuabile nella formulazione dell’art. 80 (Personale dell’amministrazione degli istituti di prevenzione e pena) O.P. che si riporta integralmente:


“1. Presso gli istituti di prevenzione e di pena per adulti, oltre al personale previsto dalle leggi vigenti, operano gli educatori per adulti e gli assistenti sociali dipendenti dai centri di servizio sociale previsti dall'articolo 72.


2. L'amministrazione penitenziaria può avvalersi, per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento, di personale incaricato giornaliero, entro limiti numerici da concordare annualmente, con il Ministero del tesoro.


3. Al personale incaricato giornaliero è attribuito lo stesso trattamento ragguagliato a giornata previsto per il corrispondente personale incaricato.


4. Per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento, l'amministrazione penitenziaria può avvalersi di professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica, corrispondendo ad essi onorari proporzionati alle singole prestazioni effettuate.


5. Il servizio infermieristico degli istituti penitenziari, previsti dall'art. 59, è assicurato mediante operai specializzati con la qualifica di infermieri (1).


6. A tal fine la dotazione organica degli operai dell'amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1971, n. 275, emanato a norma dell'articolo 17 della legge 28 ottobre 1970, n. 775, è incrementata di 800 unità riservate alla suddetta categoria. Tali unità sono attribuite nella misura di 640 agli operai specializzati e di 160 ai capi operai.


7. Le modalità relative all'assunzione di detto personale saranno stabilite dal regolamento di esecuzione.


(1) Comma così sostituito dall'art. 14, d.l. 14 aprile 1978, n. 111, conv. in l. 16 giugno 1978, n. 271.”.


Ebbene, con riguardo al contenuto del comma 4, si deve affermare che fu quella una valutazione infelice del legislatore.


Richiamiamo nuovamente il comma 4: “ 4. Per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento, l'amministrazione penitenziaria può avvalersi di professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica, corrispondendo ad essi onorari proporzionati alle singole prestazioni effettuate.”.


Posto che il comma 7 affida al R.E. l’individuazione delle modalità di assunzione di tutto il personale indicato nell’art. 80 O.P., il R.E. dedica una apposita norma agli esperti, l’art. 132 (Nomina degli esperti per le attività di osservazione e di trattamento), che recita:


“1. Il provveditorato regionale compila, per ogni distretto di Corte d'appello, un elenco degli esperti dei quali le direzioni degli istituti e dei centri di servizio sociale possano avvalersi per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento ai sensi del quarto comma dell'art. 80 della legge.


2. Nell'elenco sono iscritti professionisti che siano di condotta incensurata e di età non inferiore agli anni venticinque. Per ottenere l'iscrizione nell'elenco i professionisti, oltre ad essere in possesso del titolo professionale richiesto, devono risultare idonei a svolgere la loro attività nello specifico settore penitenziario. L'idoneità è accertata dal provveditorato regionale attraverso un colloquio e la valutazione dei titoli preferenziali presentati dall'aspirante. A tal fine, il provveditorato regionale può avvalersi del parere di consulenti docenti universitari nelle discipline previste dal quarto comma dell'art. 80 della legge.


3. Le direzioni degli istituti e dei centri di servizio sociale conferiscono agli esperti indicati nel comma 2 i singoli incarichi, su autorizzazione del provveditorato regionale.”.


Vale la pena di notare che mentre la legge usa il sostantivo “assunzione” il R.E. invece titola “nomina”.


Va anche osservato che il comma 2 dell’art. 80 prevede che l'amministrazione penitenziaria può avvalersi, per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento, di personale incaricato giornaliero, entro limiti numerici da concordare annualmente, con il Ministero del tesoro, a cui il R.E. ha dato attuazione con l’art. 131 (Incarichi giornalieri) che vale la pena di riprodurre:


“1. Il provveditore regionale conferisce direttamente gli incarichi previsti dal secondo comma dell'art. 80 della legge.


2. Al conferimento degli incarichi si provvede a seguito di accertamento dell'idoneità del richiedente ad assolvere i compiti relativi.


3. A tal fine, in ogni provveditorato regionale, una comrnissione composta dal provveditore, che la presiede, e da due dirigenti dell'amministrazione penitenziaria, integrata da un esperto nella materia relativa all'incarico da conferire, sottopone il richiedente ad un colloquio inteso a valutare l'idoneità indicata nel comma 2.


4. Esercita le funzioni di segretario un funzionario del provveditorato regionale.”.


Premesso che l’A. non ha mai avuto notizia alcuna del conferimento dei suddetti incarichi giornalieri, appare sconcertante che l’assunzione degli esperti non sia avvenuta mediante la individuazione di un ruolo (almeno un esperto per ogni istituto penitenziario) e l’espletamento di pubblici concorsi, agganciando l’ordinamento del detto personale a quello degli impiegati civili dello Stato prima, poi con l’inserimento nei livelli retributivo-funzionali ex legge 312/80, delegando per ultimo alla contrattazione collettiva la disciplina minuziosa di tale figura professionale.


In parole povere, il progetto ambizioso del legislatore del 1975 doveva essere supportato con le figure professionali cardine (gli educatori e gli esperti).


Ciò è avvenuto con molto ritardo per gli educatori, i cui organici sono stati adeguati dopo circa 15 anni, mentre per gli esperti non è accaduto per nulla.


La delega legislativa è stata disattesa, sia nel 1976 (d.P.R. 26 aprile, n. 431) sia 2000 (d.P.R. 30 giugno, n. 230).


Qualsiasi sia stato il motivo, non v’è dubbio che la loro presenza negli istituti non quotidiana ma con monte ore mensili non superiore alle 65 (un impiegato civile ne lavora 144 al mese) in una logica di monte ore assegnato agli istituti, diversificato a seconda della loro importanza, ha significato un impoverimento delle potenzialità del G.O.T. e, per conseguenza, di tutta l’attività di osservazione e trattamento.


Ciò si è tradotto in attività di osservazione e trattamento ridotte per numero e striminzite per qualità.


Con buona pace di coloro, che gridano alla (in)certezza della pena, che si scagliano contro il recente provvedimento di indulto e concionano dall’alto della loro ignoranza del mondo delle carceri.


Una delle cause degli errori, purtroppo spesso clamorosi, ma per fortuna pochi, commessi in materia, oltre alla smania di protagonismo di alcuni degli operatori del settore e alla natura eminentemente cartacea dei procedimenti giurisdizionali, della quale l’A. si è già occupato (Diritto & Giustizi@ - 4.5.2005 – 2.2.2006 - 15.2.2006), sono da addebitare alle lacune ed alle carenze del personale preposto allo svolgimento delle attività di osservazione, segnatamente gli esperti ex art. 80 O.P.


Art. 28 R.E. (Espletamento della osservazione della personalità).


“1. L'osservazione scientifica della personalità è espletata, di regola, presso gli stessi istituti dove si eseguono le pene e le misure di sicurezza.


2. Quando si ravvisa la necessità di procedere a particolari approfondimenti, i soggetti da osservare sono assegnati, su motivata proposta della direzione, ai centri di osservazione.


3. L'osservazione è condotta da personale dipendente dall'amministrazione e, secondo le occorrenze, anche dai professionisti indicati nel secondo e quarto comma dell'art. 80 della legge.


4. Le attività di osservazione si svolgono sotto la responsabilità del direttore dell'istituto e sono dal medesimo coordinate.”.


Va solo osservato che dei professionisti di cui al 2° comma dell’art. 80 O.P. non se n’è mai avuto sentore alcuno.


Il comma 4 chiarisce, se pure ve ne fosse stata necessità, su chi incombe la responsabilità delle attività di osservazione e del loro coordinamento: il direttore del carcere.


Il comma 2 prevede centri di osservazione, dei quali l’A. non ha mai avuto notizia alcuna.


Art. 29 R.E. (Programma individualizzato di trattamento).


“1. Il programma di trattamento contiene le specifiche indicazioni di cui al terzo comma dell'art. 13 della legge, secondo i princìpi indicati nel sesto comma dell'art. 1 della stessa.


2. La compilazione del programma è effettuata da un gruppo di osservazione e trattamento presieduto dal direttore dell'istituto e composto dal personale e dagli esperti che hanno svolto le attività di osservazione indicate nell'art. 28.


3. Il gruppo tiene riunioni periodiche, nel corso delle quali esamina gli sviluppi del trattamento praticato e i suoi risultati.


4. La segreteria tecnica del gruppo è affidata, di regola, all'educatore.”.


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*ispettore generale dell’amministrazione penitenziaria

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