di Rita Di Giovacchino
In questi giorni bui per
Per capire i tormenti del procuratore capo Ferrara bisogna fare un passo indietro, ai rapporti privilegiati di amicizia, agli intrecci di carriera, al comune impegno all'interno di Unicost che lo hanno sempre legato all'ex procuratore aggiunto accusato di corruzione e rivelazione di segreti d'ufficio.
Nel 2007 fu lui a restituire fiducia a Toro, sottoposto ad analogo procedimento nell'ambito dell'inchiesta Unipol. E fu lui ad affidargli il coordinamento di tutte le inchieste sulla Pubblica amministrazione, quando il procedimento fu archiviato. Un incarico che, inutile girarci attorno, apriva la strada alla successione. Sì, Toro sarebbe diventato procuratore quando Ferrara fosse andato in pensione o, limiti di età permettendo, avesse sostituito il pg Vecchione alla Procura generale. Mesi fa si era perfino mormorato di dimissioni anticipate di Vecchione, poi non non se ne è saputo più niente, prima ancora che l'inchiesta di Firenze spacchettasse l'intero disegno.
L'intervista è suonata dunque come un estremo tentativo di difesa del vecchio amico, una trincea dietro cui si apriva inevitabilmente un conflitto di competenza con la procura di Firenze accusata di aver operato extra-legem. Ora Ferrara spiega che è stata colpa di un titolo troppo gridato. Eppure le parole di Ferrara erano apparse inequivocabili. “Il nostro procedimento è stato aperto nel marzo 2009, nessuno in questo periodo mi ha avvisato delle responsabilità emerse dalle intercettazioni del Ros. saputo tutto l'8 febbraio mattina a cose fatte. Eppure da tre giorni cercavo di parlare con Quattrocchi”, aveva detto in sintesi nell'intervista. Nessun accenno alle tardive contromosse messe in atto dalla procura di Roma, quelle tardive perquisizioni della Gdf che hanno fatto infuriare i pm fiorentini. Come andrà a finire nessuno lo sa, certo l'idea di un conflitto di competenza piace ai difensori degli arrestati (anche in alto loco). Ma la linea intrapresa da Ferrara è apparsa subito debole: la procura di Firenze indagava già dal 2008 e dalle intercettazioni è emersa l'ipotesi di reato più grave, ovvero la corruzione aggravata dall'articolo 7 e cioè l'aggravante dell'associazione mafiosa per le cointeressenze emerse dalle società di Fusi e Piscicelli.
Difficile poi accusare Firenze di volersi appropriare indebitamente delle inchieste sui grandi appalti visto che sono stati inviati tutti gli atti a Perugia non appena si è capito che la “gola profonda” che informava gli indagati era proprio Toro, un magistrato di Roma.
Resta l'urgenza con cui il gip ha proceduto agli arresti. Ma l'urgenza emerge con chiarezza dalle ultime carte della Procura di Firenze che descrivono i progetti di fuga dei due protagonisti, Balducci e Anemone, la riunione con Edy Azzopardi che annuncia gli imminenti arresti. Balducci si era perfino dimesso il primo febbraio dall'incarico di Presidente del Consiglio Superiore dei lavori pubblici a favore di Mariano Sessa, un funzionario del Infrastrutture (lo stesso cui era stato raccomandato Camillo Toro). Senza che nessuno lo sapesse. Negli ultimi frenetici giorni prepara la sua uscita di scena, cerca un certificato medico che attesti una qualche malattia, annuncia a Lupinacci, avvocato amico, che l'indomani dovrà incontrare un misterioso “zio”. Infine prepara le valigie in direzione di Berlino, ufficialmente per la prima di un film interpretato dal figlio Angelo. Ma il suo autista al telefono assicura che il suo “principale lascerà l'Italia l'11 settembre per una cosa serissima”. Fa le valige anche Anemone, direzione Madrid, per un weekend con la moglie a San Valentino. “Torno il 15”, dice al fidatissimo Emanuel Messina che già si trova in Messico. Ma lui consiglia: “Forse è meglio se venite ad Acapulco”.
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