di Marco Travaglio
Il professor Ernesto Galli della Loggia s’interroga pensoso sul Pompiere della Sera a proposito de “La corruzione e le sue radici”.
L’agile trattatello, diversamente dal solito, non è né inutile né dannoso: serve anzi a comprendere come si è ridotta la classe intellettuale italiota, incapace di vedere, capire, spiegare, proporre, elaborare un’idea originale al di fuori del déjà vu, del luogo comune, dell’eterno conformismo.
La tesi di fondo è stimolante e soprattutto inedita, almeno per chi non frequenta i bar sport: è tutto un magna magna.
“La verità è che è l’Italia la causa della corruzione italiana”, visto che rubano tutti: chi trucca concorsi, chi froda il fisco, chi si fa la casa abusiva, chi raccomanda amici e parenti nei posti pubblici, chi gonfia le tariffe dei servizi.
Ma va?
“In molti altri paesi – filosofeggia l’acuto pensatore – comportamenti del genere sono severamente sanzionati anche sul piano penale. Da noi no, sono considerati normali. Perché?”.
In realtà i suddetti comportamenti sono reato anche in Italia. Ma, non appena un magistrato si azzarda a scoprirli e sanzionarli, indagando, intercettando, arrestando o condannando qualcuno, c’è sempre qualche gallo della loggia o pollo del balcone che si mette a strillare all’invasione di campo della magistratura, alle toghe rosse, ai processi politici, allo scontro fra giustizia e politica, al giustizialismo, alle manette facili, invocando separazioni delle carriere, immunità, lodi Schifani e Alfani.
Quando Mastella e signora furono beccati a lottizzare tutto il lottizzabile in Campania, dalle Asl ai canili, fu tutto un coro di “embè? così fan tutti”. Se, come scrive il sagace politologo, “Mani Pulite non ha segnato una svolta”, “è stato tutto inutile”, “la corruzione italiana appare invincibile”, non è certo colpa dei magistrati.
A loro spetta scoprire e punire i reati già commessi. Per impedire o almeno ridurre la possibilità che altri se ne commettano, bisogna rendere più severe le sanzioni e più stringenti i controlli.
In questi 18 anni s’è fatto l’opposto. Su circa 200 “riforme della giustizia” approvate dal 1992 a oggi, nemmeno una ha reso più difficile o rischiosa la corruzione e più facile la sua scoperta. Anzi, tutto il contrario. Su quale pianeta, in quale galassia ha vissuto Galli della Loggia per tutto questo tempo?
Ha mai scritto un rigo contro le leggi che depenalizzavano l’abuso d’ufficio, le false fatture e il falso in bilancio, allungavano i processi e dimezzavano la prescrizione, sbiancavano i fondi neri all’estero, abolivano i processi alle alte cariche specie quella bassa, condonavano frodi fiscali e abusi edilizi?
Si sta forse battendo contro il processo breve anzi morto, il legittimo anzi illegittimo impedimento, l’abolizione delle intercettazioni? Ha mai proposto una sola legge anticorruzione?
Ora scopre che “le tangenti continuano a girare vorticosamente anche nel privato”: s’è mai accorto che nel 1999 l’Italia siglò la convenzione del Consiglio d’Europa contro la corruzione (che impone di punire pure le tangenti fra privati), ma si è sempre “dimenticata” di ratificarla?
Perché dal suo pulpito, o dalla sua loggia, o dal suo balcone, anziché menarcela con la separazione delle carriere o lo scontro fra giustizia e politica, Galli non ha mai lanciato una campagna per sollecitare quella ratifica?
Perché un mese fa i mejo commentatori del Pompiere (a parte Magris e Bragantini) si sono associati alla beatificazione di un corrotto latitante come Bottino Craxi e oggi si meravigliano se si continua a rubare?
In coda al trattatello, il geniale pennuto invita tutti a “guardare a fondo dentro di noi e dentro la nostra storia”. Basterebbe guardare a fondo quel che scriveva lui nel 1992-’93 quand’era lucido e quel che ha scritto (ma soprattutto non ha scritto) dopo. Anziché scomodare il gene italico, per spiegare la corruzione basta la rassegna stampa dell’ultimo ventennio: è piena zeppa di intellettuali che, anziché smascherare le imposture del potere, gli prestano le parole per nasconderle meglio.
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