Mafia, appalti e Grandi Opere dall’Anas Sicilia fino a Torino
Con il Pdl Verdini e Fusi “viene anche Marcello”
di Peter Gomez
La gara era una di quelle grosse. Roba tosta, pesante: 222 milioni di euro di base d’asta stanziati dall’Anas per ammodernare più di trenta chilometri della Palermo-Agrigento. Anche per questo gli investigatori del Ros dei carabinieri, quando nel novembre del 2008 se ne erano accorti, avevano fatto un salto sulla sedia. All’improvviso la loro indagine sul meccanismo segreto con cui vengono spartiti gli appalti in Italia sembrava averli fatti tornare indietro di vent’anni. Al 1991. All’anno in cui il primo rapporto su mafia e appalti, consegnato nelle mani di Giovanni Falcone, finì per accelerare la morte del magistrato e quella del suo amico Paolo Borsellino. Le similitudini con il passato erano tante. Troppe.
Mentre ascoltavano le conversazioni telefoniche di Riccardo Fusi, l’alter ego imprenditore del coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini, era difficile non ricordare come la sua azienda, la Btp, nel 2000 avesse finito per inglobare il gruppo Pontello, una delle poche imprese del nord che, secondo il superpentito Nino Giuffrè, stavano nel cuore di Bernardo Provenzano. Un caso? Forse. Certo è però che per far lavorare la Baldassini Tognozzi Pontello del suo amico (e, secondo i detective, socio) Fusi, Verdini si rivolge agli uomini di Marcello Dell’Utri, il senatore azzurro condannato in primo grado a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa. A dare il là alle danze è una cena nella casa romana di Verdini dove Fusi viene invitato per la sera di mercoledì 12 novembre 2008. “C’è anche quel signore che ti avevo detto di prendere informazioni”, spiega per telefono il politico. Che poi aggiunge criptico “si parla direttamente. Viene Marcello, io te e lui”. In quel momento non è ancora chiaro chi sia Marcello. Due giorni dopo inizia però a Montecatini la settima convention dei Circoli del Buongoverno di Dell’Utri. E il mistero a poco a poco si dipana. Verdini parla con Fusi e gli spiega di aver detto a Francesco Costanzo, un giovane catanese animatore di un importante Circolo a Milano, di “chiamarti, così stringi con lui”. Lunedì 17 novembre Costanzo, in quei mesi di fatto l’ombra di Dell’Utri, si fa vivo Fusi e gli lascia un messaggio in segreteria: “Buonasera sono Costanzo, ci siamo conosciuti a casa di Denis (Verdini, ndr) la scorsa settimana...”. Da quel giorno lui e Fusi paiono fare coppia fissa. In ballo hanno diversi affari in Sicilia, a Torino, ma non solo. “Secondo me c’è tanto da lavorare”, gli spiega Fusi mentre esce da Finmeccanica, “ma bisogna che parli con diverse persone, ora parlerò con Denis”. Il coordinatore del Pdl segue infatti tutto da vicino. Il 20 novembre eccolo così al telefono mentre chiede a Fusi: “È arrivato Marcello da voi?”. “No”, risponde l‘imprenditore, “non viene, ma quella cosa la sta raccontando Francesco (Costanzo, ndr)”. Intanto si fanno frenetici anche le telefonate e con il direttore generale dell’Anas Sicilia, Ugo Di Bernardo che per quasi un anno continuerà a sentire e frequentare il gruppo. Nelle intercettazioni dell’ottobre 2009, si trova persino traccia di una sorta d’incontro al vertice. A casa di Verdini sono previsti Di Bernardo, Nino Bevilacqua, il presidente dell’ente Porto palermitano, considerato uno degli uomini più potenti dell’isola, Costanzo e Dell’Utri. “Si tratta con tutta probabilità del senatore”, spiegano gli investigatori che sottolineano anche come in altre conversazioni Costanzo venga definito “quello che su Catania organizza la roba (i Circoli del Buongoverno, ndr) per Dell’Utri e Micciché”. Fusi, oggi accusato di associazione per delinquere con l’aggravante mafiosa, del resto di pelo sullo stomaco ne ha parecchio. E lo si capisce quando, per tentare di aggiudicarsi gli appalti per l’aeroporto di Frosinone e di un Centro accoglienza a Roma, si fa mettere in contatto con il commercialista palermitano Piero Di Miceli, al centro di molte inchieste su mafia e politica, ma sempre assolto. Di Miceli, considerato dai pentiti “legato a Cosa Nostra e vicino ai servizi segreti”, ha ottime entrature in Finmeccanica. Gli affari del resto, sono affari. Non è il caso di andare per il sottile. Così basta un sentenza della Cassazione che ordinato (dopo due condanne) di rifargli il processo, perché Mario Fecarotta, cugino alla lontana di Francesco Rutelli e amico di Gianfranco Micciché, arrivi persino a Palazzo Chigi. Magistrati e investigatori lo considerano un imprenditore prestanome della famiglia di Totò Riina, ma lui il 29 gennaio 2009, spiega di essere stato “pure da Gianfranco, lì alla Presidenza del Consiglio”. Pagina, dopo pagina, insomma il rapporto del Ros descrive un mondo nascosto. Quasi un verminaio. E regala la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa che si colloca tra il clan e la superloggia massonica. Non per niente Verdini, è stato più volte indicato come figlio della vedova dall’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga. Lui nega, ma molti dei suoi uomini con i compassi hanno qualche dimestichezza. Un “fratello” è, per esempio, Leonardo Benvenuti, 38 anni di Gela, uno dei portaborse del coordinatore Pdl, intercettato dall’Arma mentre si occupa dei business cemento) che stanno a cuore a due deputati umbri. Per telefono gli amici spiegano che Bevenuti conta perché è “il nipote” dell’ex direttore centrale dei servizi fiscali Fininvest, Salvatore Sciascia. E Sciascia oggi è stato nominato senatore da Silvio Berlusconi nonostante una condanna definitiva per corruzione. L’inchiesta insomma punta in alto. E a Palazzo Grazioli, adesso, le notti sono molto meno allegre di prima.
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