di Clara Sereni
Nel dibattito sulla giustizia affiora periodicamente un dato: la percentuale pro-capite di procedimenti civili, penali e amministrativi intentati in Italia è considerevolmente più alta di quella di tutti o quasi gli altri Paesi del mondo.
Siamo un popolo di litigiosi, si dice. Si dice anche che, figli degeneri della massima tradizione giuridica, non manchiamo occasione per cercare il pelo nell’uovo, e cucinarlo poi su un banco di tribunale. E peggioriamo viepiù. Anche assumendo come tara il peso delle carenze gravi di risorse umane e strumentali, il dato resta.
Un dato da inscrivere direttamente nelle caratteristiche nazionali, come pizza e mandolino? Dipende, come dice qualcuno, dal fatto che abbiamo troppe leggi, la maggior parte delle quali cattive?
Senza negare che molti accorpamenti e snellimenti si potrebbero fare, penso che di leggi buone ne abbiamo diverse, a cominciare dalla Costituzione ma non fermandoci a quella. Il problema è, caso mai, che i diritti sanciti da molte di quelle leggi (le più avanzate, in genere) non sono quasi mai, nella sostanza, esigibili.
In Italia l’etica pubblica non ha mai avuto radici profonde, e quelle che c’erano si sono parecchio rinsecchite. Mentre è stato possibile che negli Usa Clinton venisse messo sotto accusa non a causa di una relazione extra-coniugale, ma perché aveva mentito, da noi il mentitore viene vissuto come un “dritto”, uno che ha capito come va il mondo. Ancora: gli Usa fondano sostanzialmente sul capitalismo le proprie basi, e qualunque forma di statalismo l’hanno sempre vista come il fumo negli occhi. Eppure, il fatto che la tassazione sia un pilastro dello Stato nessuno si è mai sognato di metterlo in discussione. Con risultati anche interessanti: Al Capone, che l’Fbi non era riuscito a incastrare per nessuno dei suoi molteplici misfatti, finì comunque in carcere per evasione fiscale.
Non che io sia stata colta da un improvviso e acritico amore per gli Stati Uniti. È che mi guardo attorno, e mi piacerebbe vedere un panorama un po’ diverso da quello che, qui, ci assedia ogni giorno.
Andando per capi più che sommi. Il sindacato è in difficoltà, ed è finita l’epoca dei partiti di massa: partiti e sindacato come corpi intermedi fra i diritti e il potere del singolo da una parte, e dall’altra un potere più forte. C’è una caduta generalizzata di ogni senso della collettività e del bene comune, e l’individualismo (straccione) trionfa. Ecco: in un tempo così, in un panorama come questo, per esigere i diritti negati va a finire che si fa inevitabilmente strada in molti la speranza che almeno «ci sia un giudice a Berlino». Da Mani Pulite in poi, viene attribuita alla magistratura la «colpa» di essersi sostituita alla politica: certamente una parte del ceto politico (piccola, a far bene i conti) è stata spazzata via in quella stagione, ma ciò è avvenuto perché il percorso della politica vera, capace di progetto ed egemonia culturale in senso progressivo, latitava da tempo. Da lì in poi, la situazione è andata via via peggiorando, benché gli italiani dimostrino ancora, miracolosamente, la capacità di resistere e indignarsi. Andando perfino a votare alle primarie.
Insomma, sono convinta che l’intasamento dei tribunali sia, in misura non irrilevante, frutto tremendo della mancanza di politica, laddove con questa parola si intenda la capacità di condividere, capire, governare e guidare i processi e i cambiamenti che attraversano la società.
Ma a questi non pochi guai si aggiunge ora un fatto nuovo, che riguarda direttamente il Pd. La guerra sanguinosa per la presidenza delle Regioni si combatte, come non bastasse tutto il resto, anche a colpi di ricorsi ai Garanti. È successo o sta succedendo in Puglia, dove peraltro si vedono almeno barlumi di opzioni politico-programmatiche diverse. E già successo - e non è detto che sia finita - nella mia piccola Umbria, alla periferia dell’impero, dove tutto accade, non da ora, all’interno di quello che fu Pci, Pds, Ds e ora Pd. Tutto in casa.
Gli scontri politici sono, sempre e per definizione, scontri di poteri. Ma se anche i dirigenti del Pd pensano che l’unico percorso possibile sia quello che passa «per Berlino», allora significa che la politica è davvero finita, e che gli scontri sono solo scontri per il potere: chi vince la partita, ci guadagna e si porta via un bel jack-pot.
Altro che alla frutta, siamo ben oltre il caffè e l’ammazza-caffè. Perché qualcosa ne viene in tasca anche a noi, i tanti noi che siamo fuori dalle segrete e sempre più asfittiche stanze dei bottoni: più impotenza, più solitudine, più disperanza.
08 febbraio 2010
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