venerdì 12 febbraio 2010

STUPEFACENTI IN CORTE D’ASSISE


di Bruno Tinti

Il ministro Alfano, bontà sua, non vuole fare polemiche; il che non gli impedisce di chiarire che il rischio di scarcerazione di un sacco di mafiosi era dovuto a “un errore di interpretazione da parte dei giudici”; ma per fortuna adesso lui in persona vi ha posto rimedio.

Ecco come stanno le cose. La legge 251 del 2005, più nota come ex Cirielli, dimezza i termini di prescrizione e permette a B. di essere “assolto”: è colpevole ma non può andare in prigione per maturata prescrizione, appunto. I cittadini non si devono accorgere di questa cosa scandalosa e così si fa finta che la legge serva per aumentare le pene per i reati di mafia (art. 1, vedete come siamo bravi?). 416 bis Codice penale, associazione mafiosa e armata: per i semplici partecipanti da 7 a 15 anni; per i capi e promotori da 10 a 24 anni. Né i politici, ossessionati dalle imminenti condanne di B, né i magistrati si rendono conto che l’aumento della pena massima per i capi del 416 bis armato significa una rivoluzione giudiziaria: chi li giudicherà non sarà più il Tribunale ma la Corte d’Assise, che vuol dire giudici popolari. Infatti l’art. 5 del Codice di procedura penale attribuisce all’Assise la competenza per i delitti puniti, nel massimo, con pena non inferiore a 24 anni: e “fino a 24 anni” non è inferiore a 24, è uguale; quindi competenza spostata.

Nessuno se ne accorge; i politici perché tanto nemmeno sapevano quello che avevano fatto; e i giudici perché, in realtà, processi per mafia senza omicidi non ce n’è; e, quando c’è un omicidio, poche storie, la competenza è dell’Assise; quindi le occasioni per rilevare la novità, processi per associazione mafiosa armata senza omicidi, non se ne presentavano. Fino a quando uno di questi processi arriva, un avvocato se ne accorge, solleva il problema e la Cassazione gli dà ragione. Naturalmente, spostare i processi di questo tipo dai Tribunali alle Corti d’Assise richiede un sacco di tempo; i termini per tenere in galera i mafiosi scadono; e quindi tutti fuori.

Qui arriva Alfano che emana il decreto legge 11/2/2010 dove, “senza fare polemiche”, e quindi scrivendo che il decreto si è reso necessario “per prevenire le difficoltà pratiche conseguenti ai recenti indirizzi giurisprudenziali in tema di attribuzione della competenza per il reato di associazione di tipo mafioso aggravato” (quali indirizzi giurisprudenziali, la legge quella era!), stabilisce che, per questo delitto, anche se la pena è di anni 24, restano competenti i Tribunali. Tutto a posto? Mica tanto. Già che c’era, Alfano ha pensato di anticipare alcune geniali idee contenute in un disegno di legge, il numero 1440, recante una serie di riforme in materia penale, poche buone e molte cattive; e ha spostato in Corte d’Assise l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Insomma fuori la mafia e dentro gli stupefacenti.

La cosa è ridicola sotto molti punti di vista. Prima di tutto, per i processi concernenti l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, si riproporrà lo stesso problema che Alfano ha così tempestivamente risolto per l’associazione mafiosa armata: bisognerà spostare in Assise tutti i processi di questo tipo (associazione per traffico di stupefacenti) che ora pendono in Tribunale; e così i trafficanti di droga usciranno per decorrenza termini; a meno che non siano anche mafiosi, nel qual caso invece no, resteranno in prigione.

Un bel rompicapo: probabilmente dopodomani Alfano farà un altro decreto legge con un nuovo “contrordine compagni”; e chissà se anche questa volta dirà che è tutta colpa dei giudici e delle loro interpretazioni bislacche.

Ma poi c’è anche un problemino di coordinamento tra norme; perché questo disegno di legge 1440 (che non è ancora legge e che Alfano ha voluto anticipare) in effetti era coordinato: spostando in Assise la competenza per l’associazione finalizzata al traffico di droga, modificava l’art. 5 del Codice di procedura che invece prevedeva la competenza del Tribunale. Ma, come ho detto, questo 1440 ancora non è legge. Il decreto legge invece si; e questo dice che dell’associazione finalizzata al traffico di droga si deve occupare l’Assise; solo che il Codice di procedura penale, poveretto, continua a dire che se ne deve occupare il Tribunale.

Che si farà? Anche qui ci saranno interpretazioni bislacche dei giudici che boicottano un illuminato legislatore?

Per finire, in questo disegno di legge 1440, all’art. 1, si prevede che la competenza a giudicare i delitti di associazione mafiosa armata è della Corte d’Assise (è detto in maniera molto complicata ma questo è il succo); perché, dice Alfano, “è assicurata così la diretta partecipazione dei cittadini all’amministrazione della giustizia nei processi relativi ai delitti di maggiore pericolosità e allarme sociale”. Che è una stupidaggine, perché i mafiosi hanno il brutto vizio di minacciare e di ammazzare i giudici; e anche i loro familiari. E, mentre si spera che un giudice sia attrezzato per sostenere queste intimidazioni, è ragionevole presumere che un cittadino, catapultato per caso a fare il giudice in un processo di questo genere, cederebbe alle pressioni e manderebbe assolti i peggiori delinquenti. Per fortuna, come abbiamo visto, ci ha pensato Alfano con il suo (un po’ contraddittorio) decreto legge: i processi per mafia li faranno i Tribunali. Della “diretta partecipazione dei cittadini” non se ne parla più. Questa è coerenza.

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