lunedì 22 marzo 2010

B. E LA LITURGIA EVANGELICA TRA AMORE, RINUNCE E GIURAMENTI


di Luca Telese

Metti insieme Antonio Gramsci, la Gialappa’s, e Silvio Berlusconi. E allora come la racconti questa Vandea di governo mischiata con il karaoke, questa specie di “San Giovanni Cinque” con i jingle della tv quando arriva Umberto Bossi, e i giuramenti commossi al credo di Silvio, come lo racconti questo jukebox che fa risuonare a gettone antichissimi successi, domande retoriche, retorica dell’amore, e pratica sapiente dei vecchi rancori?

“Sono ancora loro, gli stessi, di sempre - si sgola Berlusconi - ma noi vinceremo anche nel Lazio nonostante la sinistrààà... Una sinistra che, come ha sempre fatto in Unione Sovietica, vuole scendere in campo da solaàààà.... Tenendo la nostra squadra chiusa nello spogliatoio grazie a un arbitro amicoooòò!!!”. E alè. Miss governatore.

Forse bisogna riavvolgere la bobina dalla fine e partire da quella fantastica sequenza finale, la presentazione dei candidati governatori stile concorso di bellezza.

Silvio li chiama uno a uno sul palco, accalappia la mano - a qualcuno non la molla più, a Renata Polverini cinge il fianco un po’ pomicione - poi grida i nomi ed elogia ognuno. Sono tutti “Straoòordinariiii”, s’intende.

Roberto Cota sorride e fa un segno del pollice come un Fonzarelli padano, ecco Giuseppe Scopelliti (“Vedete voi stessi che è alto perchè ha fatto il giocatore di basket”), ecco Roberto Formigoni che si presenta con la bandiera tricolore (“Il nostro candidato in Lombardia, un certo... come si chiama....”, gigioneggia Silvio). E poi ecco Renata Polverini, presentata come la piccola fiammiferaia: "Ha perso il padre a due anni e mezzo...una persona che si è fatta da sola facendo lavori umilissimi... cominciando come centralinista alla Cisnal fino ad arrivare al vertice di un sindacato, come capo della Cisnal” (Si chiama da dieci anni Ugl, ma va bene lo stesso: Berlusconi non ha fatto l’up-grade del sistema).

Pontida catodica. E poi, alla fine tutti lì, a leggere il foglietto bianco in coro. Berlusconi si è mangiato e digerito anche lo spirito di Pontida, lo ha annesso nel copione del suo rito azzurro, fa rimpiangere il sandalone padano, il kolossal casereccio di cartapesta, nel momento in cui lo rimpiazza con il rito catodico, con l’azzurrino libertà che si sostituisce il verde speranza e il leader del carroccio a fare da guest star. Come Chaplin che invitava il vecchio Buster Keaton a recitare un se stesso invecchiato in Luci della ribalta. La gaffe (?) di Bossi. E forse Umberto Bossi si vendica con una meravigliosa gaffe , nei pochi secondi in cui il premier lo fa parlare: “Io... sono uno dei pochi.... che non ha mai chiesto nè una lira nè un aiuto a Berlusconi”. Cos’è questa, una battuta? Una parola dal sen fuggita? Un lapsus? E chi sono quei tanti che hanno spillato soldi al Cavaliere? Meglio non chiederlo a qualcuno di quel battaglione di colonnelli che popola la tribuna dei vip.

Due segnalazioni, come nelle vignette della Settimana Enigmistica in cui bisogna notare le differenze.

Uno: è scomparso Gianfranco Fini, che non ha più un posto da ministro officiante nella nuova liturgia del culto (ma questo si sapeva già). Due: nell’altra San Giovanni, nel dicembre 2006, la classe dirigente era ancora alle spalle del capo, adesso sono tutti relegati in una specie di balconata di contenzione, al lato del leader, che parla da una piattaforma bianca, larga 40 metri, una specie di portaerei.

Più si addentra nel suo crepuscolo più il berlusconismo dilata le sue proporzioni, il suo bisogno di titanismo come antidoto alla malinconia. C’è meno gente dell’altra volta ma ce n’è ancora tanta, anche se il ricorso ai vecchi trucchi aiuta: spostare il palco avanti, per esempio, e riempire il piazzale con i gazebo. E vai con i potenti mezzi di Euroscena, il braccione del gimmy geeb fa miracoli quando fa planare la telecamera sulle teste dall’alto. “Ma quanti eravamo’?”, chiede il premier incauto ai cronisti quando scende dal palco. (Meravigliosa battuta del popolo viola su Facebook: “oggi il matematico della questura era in ferie”) Se quelli del centrosinistra volessero imparare qualcosa, la prossima volta, si prendessero almeno il regista della Corrida, quel geniale professionista - si chiama Giuseppe Sciacca - che da anni, insieme al fido Roberto Gasparotti incarta le piazze del centrodestra e le trasforma in codici televisivi, adunate per rockstar. Regionali anticancro. E allora come la racconti questa meravigliosa capacità di riscrivere sempre la realtà e di motivare la curva sud del centrodestra? Siamo i partigiani dell’amore contro i crociati dell’odio, i magistrati comunisti hanno provato a sconfiggerci ma non ci riusciranno e, soprattutto: “Votate per noi, perché sconfiggeremo il cancroooòò!!!!”. Alé. Eppure in questa cornice tutto diventa possibile, anche l’inverosimile: perchè qui finisce la politica, e inizia la liturgia para-evangelica.

Sovversivismo di governo. Ci vorrebbe la capacità interpretativa di Antonio Gramsci, perché ancora una volta - nel Berlusconi di ieri - ritorna una abitudine antica del potere italiano: “il sovversivismo delle classi dirigenti”, declinato e contaminato con la lingua della regia televisiva e della più raffinata capacità propagandistica. E poi ci vorrebbero quei geniacci della Gialappa’s, per prendere questo palinsesto da soap opera per farci sopra i commenti sfottenti in audio a tre voci: perché questa manifestazione è già meta televisione, e già una miniera di frammenti per alimentare

Blob. Silvio che cita il Silvio d’epoca, che incespica su qualche parola, o che chiede: “Volete risse e pollai sulle reti tv pagate con i nostri soldi?”. Boato: “Nooooo!!!”. Oppure: “Volete che in tv si facciano processi farsa a chi non può difendersi?” (cioè lui). Boato: “Nooo!”. “Volete che torni l’Ici?”. “Nooo!”. “Volete tasse più alte?” Nooo!. “Volete porte aperte agli immigrati?”. Tutto già visto, tutto già sentito.

Eppure, quando la piazza sfolla, ti rendi conto che il rito collettivo riesce sempre. Che uno dei punti di forza del berlusconismo resta la capacità di tradurre la sua epopea in una lingua di codici iper semplificati e di immagini capaci di mobilitare e di avvincere il suo elettorato. Il vittimismo rabbioso viene virato nella lingua dell’amore, e il bisogno di trovare sempre dei nemici - comunisti, magistrati, cultori “dell’invidia sociale” - trasforma “il governo del fare” nella centuria degli arrabbiati.

Qualcuno potrà sorridere, ma mentre la sinistra resta evanescente, il popolo del Cavaliere continua a ripetere il credo: “Meno male che Silvio c’è”.

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