lunedì 22 marzo 2010

Quando la divisa rende impuniti


UN POLIZIOTTO: “SCENE DI ONNIPOTENZA”.

ANTIGONE: “CAMBIARE LA CULTURA”

di Silvia D’Onghia

Una volta ho visto io stesso con i miei occhi questa scena: avevano appena portato in commissariato un uomo, dopo una segnalazione. Lo avevano visto aggirarsi davanti a una scuola e avere comportamenti molesti con le ragazzine. Era ammanettato, seduto per terra, stordito, forze mezzo ubriaco. E’ passato un funzionario e gli ha smollato due calci. Così, senza motivo, e nell’indifferenza generale”.

Racconti di chi vive per strada, con addosso una divisa. Di chi dovrebbe rappresentare la legge e invece è il primo a violarla.

I pestaggi di Stefano Cucchi, di Giuseppe Uva, di Federico Adrovandi sono solo la punta di un iceberg. Vengono fuori quando le persone muoiono e alle spalle hanno famiglie che non si arrendono. Ma ci sono centinaia di episodi sconosciuti, e che rimarranno tali, perchè avvengono nel chiuso di caserme o commissariati, durante la fase di arresto. Nessuno parla, nessuno denuncia i colleghi.

Certo, non tutti sono così, i turni massacranti sulle volanti e sulle gazzelle innalzano il tasso di stress, non c’è alcuna formazione specifica. “Ma è un problema di cultura – spiega Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione “Antigone, per i diritti e le garanzie nel sistema penale” – fa parte del nostro modo di pensare. Chiunque di noi, quando viene fermato per un controllo, non si sente mai sicuro al cento per cento”.

Non esistono dati per denunciare il fenomeno della violenza a carico delle forze dell’ordine: “Quella dell’arresto è la fase più delicata – prosegue Gonnella – Lo dicono gli organismi internazionali: in Italia i maggiori rischi sono nella fase antecedente alla carcerazione, perchè c’è meno controllo, meno visibilità, ci può essere una reazione dell’arrestato, che poi invece, una volta in carcere, comprende le regole e si adegua. Ci vuole il massimo rigore nel contrastare il crimine, ma nel rispetto assoluto delle regole”.

C’è allora un problema di professionalità degli operatori di sicurezza: a Nettuno esiste una scuola, l’Istituto per Ispettori, in cui si organizzano corsi di perfezionamento e aggiornamento per l’ordine pubblico. Che però sono riservati ai funzionari, non alla “base”: “La formazione invece sarebbe fondamentale per noi che andiamo in strada – racconta un poliziotto delle volanti – spesso ci troviamo ad affrontare situazioni pericolose. Molti di noi sono sotto stress (sono tre anni che non veniamo sottoposti ai test previsti dalla ex 626), alcuni si sentono forti per il solo fatto di indossare una divisa. A chiunque è capitato di vedere un collega che dà uno schiaffo a un arrestato”.

“Se si trattasse di mele marce, lo stesso corpo le espellerebbe – spiega Gonnella – non le proteggerebbe. Invece non si riesce a sapere la verità perchè nessuno parla, nessuno denuncia il proprio collega. In qualche modo la violenza fa parte del lavoro”. Ed è l’immagine che delle forze di polizia si ha anche dall’esterno: “Antigone va in giro per le scuole con l’iniziativa ‘Il carcere spiegato ai ragazzi’, vogliamo sottolineare che anche in materia carceraria la legge deve essere rispettata. Gli studenti devono sapere che viviamo in uno stato di diritto, che ha delle regole, e tutti le devono rispettare. Anzi, chi è il garante del rispetto della legge la deve rispettare più degli altri. La brutalità di certi comportamenti, poi, non si spiega neanche con l’efferatezza del reato, come nei casi di Cucchi o di Uva. E, comunque, anche se uno è colpevole del peggiore dei crimini, deve essere trattato nel rispetto dei suoi diritti”. Casi come quello di Giuseppe, di Stefano, di Federico, capitano molto spesso: “Ricordo il caso di Angelo Raffaele De Palo – conclude Gonnella – morto nel 1999 a Matera. Era stato fermato per aver importunato alcune ragazze in piazza, fu portato in caserma e morì dopo aver subito violenze. Un anno fa, a Velletri, una persona fu arrestata e picchiata durante la fase di arresto. Venne portata in ospedale ma nel giro di 48 ore morì. Questi casi si conoscono laddove ci sono famiglie solide che trovano il coraggio di denunciare. Ma spesso la violenza avviene nei confronti di immigrati e tossicodipendenti, che non hanno un tessuto sociale forte al punto di mettersi contro le divise”.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

una mela marcia, non tolta dal cesto, intacca le altre!

perchè in Italia non si fa una legge sulla tortura?

chi può far in modo che vengano effettuati quei test, sul grado di stress? (anche a fronte dell'aumento dei suicidi tra le Forze dell'Ordine...)

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

CHI LA DOVREBBE FARE, IL SIG. B.? NON SI E' NOTATO CHE DA QUANTO C'E' LUI LA VIOLENZA FRA LE FORZE DELL'(DIS)ORDINE SONO AUMENTATATE IN MODO ESPONENZIALE?