di Marco Travaglio
Mentre proseguono a tappeto le ricerche del noto terrorista latino Marco Fabio Quintiliano, latitante da 19 secoli dopo aver ispirato il Partito dell’Odio col suo invito a “odiare i mascalzoni” subito raccolto da Luttazzi e da due giovani grafici di Sky, la Digos ha inferto un altro duro colpo al terrorismo: il sequestro a L’Aquila di ben dieci carriole e la denuncia di un centinaio di terremotati sorpresi nientemeno che a rimuovere macerie dalle strade nel giorno delle elezioni.
Il reato ipotizzato a carico dei facinorosi aquilani è la violazione della legge sul silenzio elettorale. L’ha comunicato il promotore della memorabile iniziativa, il prefetto Franco Gabrielli, già direttore del Sisde e amico intimo di Guido Bertolaso: “E’ evidente – ha detto Gabrielli dello smantellamento dei detriti – che si tratta di un evento di tipo politico e quindi, nel giorno del silenzio elettorale, non si poteva consentirne lo svolgimento. Per questo siamo stati costretti a far rispettare la legge con tutti i mezzi a disposizione”.
Ben detto: quando ci vuole, ci vuole. Come si può consentire a un gruppo di cittadini, per giunta armati di pale e carriole e visibilmente travisati con mascherine bianche anti-polvere, di scendere in strada per liberarla dalle macerie che l’amico San Guido ha pensato bene di lasciare sul posto a un anno esatto dal terremoto? A furia di vedere quelle carriole, gli italiani avrebbero potuto addirittura dubitare del miracolo della Protezione civile. Non contenti – ha aggiunto Gabrielli, vibrante di sdegno – gli aquilani “hanno tenuto un’assemblea, anch’essa fuorilegge, dove hanno contestato la nostra azione, definendola intimidatoria”. E chissà mai quale legge eventualmente scampata al rogo di Calderoli proibisce ai cittadini di riunirsi in assemblea e di definire “intimidatoria” un’iniziativa intimidatoria di un prefetto e della Digos al seguito. Nelle stesse ore, il presidente del Consiglio violava platealmente per l’ennesima volta il silenzio elettorale, improvvisando il solito comizietto fuorilegge nel suo seggio, invitando a votare per lui e contro Di Pietro.
L’aveva già fatto nel 1999, nel 2004 e nel 2006. Intanto i cosiddetti onorevoli Gasparri e La Russa associavano Di Pietro ai terroristi dei pacchi-bomba. Ma nessun prefetto s’è mai sognato di denunciarli per violazione del silenzio elettorale. Così come nessun prefetto è mai intervenuto sui milioni di sms inviati nel 2006 da Palazzo Chigi per invitare gli italiani nel giorno del silenzio, a votare. Non contento delle 37 leggi ad personam che hanno legalizzato i suoi reati, il ducetto brianzolo ha creato un clima tale per cui le sue illegalità vengono bellamente ignorate dalle forze dell’ordine, mentre condotte assolutamente legittime, come contestare e criticare il governo, vengono criminalizzate e sanzionate senza che alcuna legge le proibisca.
L’incredibile trattamento subìto dal vicequestore Genchi, sospeso tre volte in un anno dal capo della Polizia Antonio Manganelli per aver parlato troppo, mentre le decine di poliziotti violenti condannati per le sevizie del G8 di Genova restano tutti al loro posto, e in certi casi vengono addirittura promossi, è un altro segnale inquietante.
Sappiamo bene che le forze dell’ordine sono popolate di decine di migliaia di fedeli servitori dello Stato che, malpagati e mortificati da continui tagli di organico e di risorse, seguitano a fare ogni giorno il proprio dovere. Ma quando gli ordini superiori stridono così clamorosamente con i princìpi di imparzialità e legalità, non resta che un’alternativa: o l’obbedienza a direttive ingiuste (dietro cui si confondono anche le minoranze deviate, ansiose di menare le mani) o l’obiezione di coscienza.
Seguitare a far finta di nulla è sbagliato e pericoloso.
Quando si manda la polizia a reprimere il dissenso, la democrazia se la passa maluccio. E chi trova normale quanto sta accadendo diventa complice del regime. Possibile che i partiti di opposizione non abbiano nulla da chiedere al ministro dell’Interno e al capo della Polizia?
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