martedì 23 marzo 2010

LE INTERCETTAZIONI NON SARANNO PIÙ UNA PROVA


L’ultima tentazione di B: bloccare gli effetti dell’inchiesta Agcom

di Peter Gomez

I consiglieri più fidati lo invitano alla prudenza. Il testo della riforma della legge sulle intercettazioni telefoniche, dopo il voto della Camera, è ormai approdato al Senato, dove sarà approvato subito dopo le elezioni regionali. Mettere di nuovo le mani nei codici solo per cancellare totalmente, con l’ennesima legge ad personam, ogni rischio giudiziario legato all’indagine della Procura di Trani sulle pressioni di Silvio Berlusconi sull’Agcom e la Rai per chiudere Annozero, dicono gli uomini del premier, non conviene. Anche perché a Berlusconi, accanto all’articolo 338 (minaccia a un corpo amministrativo dello Stato) viene contestato un reato certamente ministeriale (la concussione) per il quale si può procedere solo in virtù di una pronuncia del Parlamento.

Eppure il leader del Pdl, secondo quanto risulta a Il Fatto Quotidiano ci sta pensando. Seriamente. Tanto che, domenica 21 marzo a Firenze, ha introdotto una grossa novità nella sua personale guerra contro gli ascolti telefonici. Adesso non parla più solo di privacy violata, di “barbarie”, di “fango” che tracima dalle pagine dei giornali. Si spinge molto più in là.

Dice che l’intercettazione “è un mezzo assolutamente non idoneo ad essere mezzo di prova”. Visto che, secondo lui, “rende facilissimo lo sconvolgimento delle carte in tavola perché sul sonoro si possono tagliare delle frasi che addirittura vanno a cambiare il senso di ciò che segue”.

Un caso del genere però non si è mai verificato nella storia giudiziaria italiana. Nessuno ha mai contestato il contenuto audio delle intercettazioni disposte dalla magistratura. Episodi di tagli e cuci, ci sono stati, è vero. Ma hanno sempre riguardato privati cittadini che registravano di nascosto il loro interlocutore. È accaduto, per esempio, nel 1995 quando proprio Berlusconi, assieme all’avvocato Cesare Previti, invitarono ad Arcore Antonio D’Adamo, un amico di Antonio Di Pietro, e grazie a delle cimici piazzate dal cameraman Roberto Gasparotti ne incisero la voce mentre parlava dei suoi rapporti con l’ex pm. Poi le registrazioni, opportunamente sforbiciate, vennero depositate a Brescia, in procura. Ma il giudice finì per considerarle carta straccia, visto che erano state manipolate. Gli ascolti non disposti dall’autorità giudiziaria infatti, già ora, non hanno valore di prova. Ma possono solo influire sul libero convincimento dei tribunali. Ed è proprio questa una delle strade (strettissime) che Berlusconi sta pensando di battere. Trovare il modo di “parificare” gli ascolti ordinati dalla magistratura a quelli, per così dire, privati.

Il problema del premier, a meno che non tema altre inchieste eventualmente in corso (i boatos si stanno moltiplicando), è infatti essenzialmente il caso Rai-Agcom. Proprio ieri i pm pugliesi hanno inviato, per competenza territoriale, le carte sul capo dell’esecutivo ai loro colleghi della Capitale. Entro due settimane la Procura di Roma dovrà presentare le proprie richieste istruttorie (archiviazione o ulteriori indagini) al Tribunale dei ministri. Poi il collegio avrà tre mesi di tempo per svolgere il suo lavoro e arrivare a una decisione. Se chiederà il processo (fatto mai accaduto sinora) sarà poi il Parlamento a votare. Mentre la Camera dovrà eventualmente pronunciarsi sull’utilizzabilità - contro il premier - del contenuto dei suoi 18 colloqui con il membro in teoria indipendente dell’Agcom, Giancarlo Innocenzi, e il direttore del Tg1, Augusto Minzolini.

Lo scenario pare insomma assolutamente favorevole a Berlusconi. Vista la cattiva prassi secondo cui il Parlamento non si pronuncia mai sul fumus persecutionis come vorrebbe la legge, ma fa valutazioni di tipo politico, pare escluso che il premier possa andare alla sbarra. Nel suo entourage però ci sono lo stesso molti timori. Il principale riguarda le conversazioni tra non parlamentari presenti nell’inchiesta. Innocenzi, alcuni collaboratori e membri dell’Agcom, e il direttore generale della Rai, Mauro Masi, parlano tra loro diffusamente delle sfuriate del “capo”. Eliminare grazie al voto la voce di Berlusconi potrebbe quindi non bastare per evitare la richiesta di processo. Inoltre, se nel corso dell’inchiesta dovesse cadere l’ipotesi di concussione (propria del pubblico ufficiale), resterebbe l’articolo 338 (le minacce), un reato che non è necessariamente di competenza del Tribunale dei ministri. E anche la richiesta di autorizzazione a procedere potrebbe venire meno. Insomma, ricorrere alla trentottesima legge ad personam, per depotenziare del tutto gli ascolti, dal punto di vista di Berlusconi, ha un senso. O almeno lo ha se si guarda il fronte giudiziario. Per quanto riguarda quello politico è invece tutta un’altra storia. Anche perché il presidente, Giorgio Napolitano, non ha ancora contro-firmato (ha tempo fino al 10 aprile) il legittimo impedimento. Un nuovo intervento in materia di giustizia può insomma aprire uno scontro con il Quirinale. Col risultato di rendere ancora più incerta la già problematica promulgazione (sembra palesemente incostituzionale) della norma che bloccherà tutti i processi contro il capo dell’esecutivo e i suoi ministri. Una sorta di pietra tomba-le anti-giudici, destinata a rendere 24 cittadini italiani diversi da tutti gli altri, di cui Berlusconi ha ormai bisogno come l’aria.

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