lunedì 29 marzo 2010


Lo scandalo degli abusi mostra l’opposizione sotterranea al Papa, presente da sempre

di Marco Politi

Papa Ratzinger non piace. Al di là dell’enormità delle violenze impunite commesse per decenni dal clero sui minori, c’è un malumore di fondo dentro e fuori la Chiesa che cerca i canali per mettere sotto accusa Benedetto XVI.

É come il brontolio di un terremoto sotterraneo, che si manifesta con scosse sempre più forti. Non è tanto in discussione la linea rigorosa del Papa contro gli abusi, espressa nella “Lettera ai vescovi irlandesi” e confermata dall’umiliante mea culpa cui ha voluto assolutamente costringere i Legionari di Cristo. Obbligati venerdì ad ammettere pubblicamente l’indegna doppia vita del loro fondatore Maciel, che ha abusato di ragazzi, intrattenuto relazioni con amanti, avuto figli e persino – secondo le testimonianze degli stessi figli Raul e Omar di loro. Tutto un dossier arenatosi in Segreteria di Stato al tempo di Giovanni Paolo II. C’è qualcosa di più.

Sotto accusa è implicitamente – ma nemmeno tanto – la credibilità stessa di Joseph Ratzinger come suprema autorità della Chiesa cattolica. L’istituzione ecclesiastica, in queste settimane, ha avuto un crollo drammatico di prestigio. Tendenzialmente la Chiesa si è sempre presentata e continua a presentarsi come massima istanza morale, che non sbaglia mai. Come guida suprema che tutto sa, tutto capisce, tutto giudica. (Sì, di tanto in tanto si ricorre negli ambienti ecclesiastici alla formula di “casta meretrice”, ma spesso diventa solo un mezzo per chiudere partite imbarazzanti). Con quello che è successo le formulette non bastano più. In Germania il vescovo di Fulda ha previsto che ci vorrà un decennio perché l’immagine della Chiesa riesca a risalire la china. Ma dalle critiche alla Chiesa l’urto polemico si sta spostando verso il simbolo stesso del Papa. Nel sentire di una larga parte dell’opinione pubblica è il suo pontificato a simboleggiare la pretesa di superiorità della Chiesa, il suo carattere di comando dottrinario, la sua pretesa di giudicare cosa è la scienza, cos’è la retta politica, persino qual è la legittima laicità. E allora la ricerca degli scheletri negli armadi vaticani per quanto riguarda l’ultimo scorcio del Novecento (scheletri che ci sono come dimostra in maniera lampante il caso disgustoso di Maciel) si trasforma in un’onda d’urto destinata ad infrangersi contro il ruolo stesso di Ratzinger. Non è una cospirazione come ritengono istericamente alcuni ambienti ecclesiastici. Stampa e tv – come sempre – sono solo il sensore di movimenti più profondi. Semmai nelle crisi viene alla luce il malumore di fondo di un mondo cattolico sommerso, che non perdona a Ratzinger lo sdoganamento della Messa tridentina, il suo blocco di ogni riforma, le sue polemiche continue contro la “svolta” conciliare. E allora ogni crisi – si tratti della revoca della scomunica al vescovo negazionista Williamson o delle dichiarazioni papali sul preservativo o dei silenzi sugli abusi ai minori – diventa occasione perché esploda il dissenso sotterraneo. L’affiorare qua e là della parola “dimissioni” ne è un sintomo.

Il caso di Monaco è il punto più delicato. É appurato finora che l’arcivescovo Ratzinger partecipò solo ad una riunione in cui si decise di accogliere il prete pedofilo Hullermann senza dargli un incarico. Non c’è un atto a firma Ratzinger, che ne autorizzi il trasferimento in parrocchia, ma esiste un memorandum degli uffici diocesani in cui lo si informa che il prete pedofilo andrà a prestare servizio in una parrocchia. Ratzinger lo ha letto? Non lo ha letto? Sull’esile interrogativo si gioca una partita pesante. Ma intanto quel che conta è che qualcuno dall’interno della diocesi di Monaco o di un’altra struttura ecclesiastica ha consegnato sottobanco alla stampa la documentazione. E questo è il sintomo di una lotta interna. C’è gente all’interno della Chiesa “pronta al balzo” per attaccare il pontefice, confessò sotto shock Benedetto XVI nella sua drammatica lettera aperta ai vescovi di tutto il mondo, allorchè scoppiò il caso Williamson. In ultima analisi Joseph Ratzinger rischia di pagare le conseguenze di un’elezione al papato in cui (per un’improvvisa e ancora non chiarita decisione di papa Wojtyla) era stata stravolta la regola secolare della maggioranza di due terzi necessaria per eleggere un pontefice. Regola che da sempre assicura scelte largamente condivise. Nell’aprile del 2005 era sufficiente invece il 51 per cento dei suffragi. E bastò al blocco conservatore pro-Ratzinger di esibire la maggioranza assoluta per piegare le resistenze dei dissenzienti e acquisire alla fine un voto larghissimo solo di facciata. Ma non si governa un organismo mondiale senza l’adesione profonda di una metà e forse più della comunità. In Vaticano sono consapevoli della gravità della situazione. Il cardinale Comastri, vicario papale per la Città del Vaticano, ha invitato i fedeli a “offrire tutte le preghiere per Benedetto XVI in questo difficile momento affinchè la grazia di Dio lo sostenga”. Personalmente la strategia del Papa è di governare la crisi con calma e sangue freddo. Un commento ufficiale del portavoce Lombardi alla Radio vaticana registra asciuttamente che le polemiche dei media hanno fatto danni, ma che l’autorità del pontefice non è “indebolita, ma confermata”. La lotta contro gli abusi sessuali, viene sottolineato, “è cruciale per la credibilità della Chiesa” e resta prioritario l’impegno a “combattere ed estirpare la piaga degli abusi ovunque si manifesti”. Nella bufera Benedetto XVI sembra reggere il timone.

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