mercoledì 31 marzo 2010

Padania, tra Lega e Pdl sono già venti di guerra


Federalismo & poltrone La Russa: scordatevi Milano

di Gianni Barbacetto

“Il Pdl ha vinto la battaglia più insidiosa: quella tutta interna al centrodestra, visto che qui la sinistra non è pervenuta”. Così Ignazio La Russa esulta per i risultati elettorali del nord. Ma così ammette anche che, in terra di Padania, ormai la guerra è con la Lega. La “battaglia più insidiosa” non è infatti finita con la chiusura delle urne. Anzi, il bello deve ancora venire. Le dichiarazioni ufficiali sono diplomatiche, sono cauti sia i leghisti, sia gli uomini del Pdl. Nel partito di Umberto Bossi prevalgono, per ora, i festeggiamenti per le due regioni conquistate, il Veneto di Luca Zaia (con sorpasso del Pdl) e il Piemonte di Roberto Cota (sudato), e per l’ottimo risultato in Lombardia (Lega al 26,3 per cento, quattro-cinque punti in più rispetto a Europee e Politiche).

Nel Pdl, d’altra parte, è tutto un affannarsi a dire che la vittoria di Silvio Berlusconi è piena e senza ombre e la coalizione resta salda e affiatata. Ma la realtà è diversa. E gli umori, i propositi, i sussurri dei leghisti – che si trattengono a stento – annunciano le prossime battaglie. Per accelerare l’attuazione del federalismo fiscale, ma anche per conquistare assessorati e poltrone, poi, chissà, il sindaco di Milano e i cda delle fondazioni bancarie... La Lega si prepara a far pesare il suo successo.

Nei prossimi mesi – fanno capire gli uomini di Bossi – ne vedremo delle belle.

Gianfranco Fini mette le mani avanti: “Non dovrà essere la Lega a dettare l’agenda della politica”. Eppure gli uomini del Carroccio si sentono i veri vincitori delle elezioni e si preparano a dare battaglia proprio nella regione del nord dove non hanno piazzato un loro governatore.

Anche in Lombardia il Pdl, malgrado i roboanti proclami di Roberto Formigoni, ha perso voti. In percentuale (almeno un paio di punti rispetto al 2008 e al 2009) e in voti assoluti (visto l’altissimo astensionismo di questa tornata elettorale, in cui altri 580 mila cittadini lombardi si sono aggiunti al primo partito in regione, quello di chi non vota).

Formigoni e la sua formidabile macchina di potere e di consenso hanno frenato la crisi del berlusconismo, ma non ci sono riusciti del tutto.

La Lega, invece, è andata avanti, ha guadagnato in percentuale e in voti. E da domani metterà Formigoni davanti a un semplice problemino matematico: poiché i consiglieri regionali del Carroccio in Lombardia saranno 20, quelli del Pdl 29 e quelli delle opposizioni 31, il governatore non riuscirà a far passare neppure la più insignificante delle delibere senza il pieno consenso dei leghisti.

Gli uomini di Bossi oggi esibiscono grandi sorrisi, ma stanno già affilando i coltelli. Perché vogliono insediare, accanto a Formigoni, un vicepresidente “che questa volta non sarà solo decorativo”, dice chiaro a Radio Padania il diretto interessato, Andrea Gibelli. Perché devono subito trovare un posto ai leghisti non eletti (da Giulio De Capitani, ex presidente del consiglio regionale, a Massimo Zanello, ex assessore alla cultura, da Luciano Bresciani, medico personale del Senatur, a Monica Rizzi, tolta dalle liste di Brescia perché non facesse ombra al figlio di Bossi, Renzo “la Trota”).

Formigoni ha a disposizione quattro poltrone per i sottosegretari e 16 per gli assessori: la Lega sta già preparando la sua lista della spesa.

Poi c’è la superpoltrona di sindaco di Milano. Bossi in persona ha detto che potrebbe farci un pensierino. La Russa gli risponde secco: “Ma no, lo sa anche lui. La Lega a Milano ha il 14 per cento: nonostante la disponibilità del tutto teorica di Bossi a fare il sindaco, Milano non è in discussione”. Non la pensano così i leghisti, che in discussione metteranno tutto e di più. Basta guardare che cosa è successo a Venezia: Renato Brunetta è stato battuto da Giorgio Orsoni, sindaco della città al primo turno. Il ministro protesta: “Non mi hanno votato quelli della Lega, hanno poca cultura di coalizione”. In effetti sull’operazione c’è la firma: in Laguna il Carroccio incassa il 19 per cento alle Regionali, dove si votava Zaia, e solo l’11 alle Comunali, dove evidentemente Brunetta ai leghisti non è piaciuto. La Russa fa finta di niente. Dice che il sorpasso in Veneto era previsto e che “un grande partito come il Pdl deve essere a volte particolarmente generoso... Ecco perché sono certo che il rapporto con la Lega migliorerà ancora”. Staremo a vedere. Ma se in Piemonte e Veneto Bossi ha già avuto quello che voleva, un governatore “padano”, in Lombardia lo scontro sarà anche più aspro. Davide Boni, l’uomo delle poltrone, è già pronto, con il suo fazzoletto verde in tasca, ad affrontare Formigoni. Per chiedere posti, assessorati, cariche. Più in generale, per condizionare le politiche sociali, la gestione dell’immigrazione e dei processi d’integrazione, le politiche sulla sanità, sull’assistenza, sulla scuola. Il conflitto sarà inevitabile, perché in Lombardia non c’è il berlusconismo liquido di altre parti d’Italia, ma l’occupazione concreta del potere e della società da parte del sistema ciellin-formigoniano. Poi ci sarà la contesa per le banche. Gli enti locali (occupati al nord da Pdl e Lega) dovranno nominare una bella fetta dei consigli delle fondazioni bancarie: Crt (Unicredit) e Compagnia Sanpaolo (Intesa) in Piemonte; Cariplo (Intesa) in Lombardia; Cariverona e Cassamarca (Unicredit) in Veneto. Infine, ma non ultima, c’è la politica che si combatterà a Roma e nel paese nelle prossime settimane. Berlusconi, archiviata la tornata elettorale, tornerà a mettere sul tavolo le cose che gli stanno a cuore davvero, la giustizia, la legge sulle intercettazioni, gli strappi agli equilibri costituzionali. Fino a che punto Bossi lo seguirà?