venerdì 5 marzo 2010

TOPPA ELETTORALE



Berlusconi da Napolitano per salvare il partito dall’esclusione a Roma e in Lombardia

di Sara Nicoli

L’ultima parola spettava a Giorgio Napolitano, poche ore dopo che la Corte d’Appello di Roma aveva riammesso - come previsto - almeno il listino di Renata Polverini. E infatti, fino alla tarda serata di ieri, la maggioranza ha cercato un accordo con tutte le forze politiche in campo, sotto l’egida del Quirinale, per superare il caos politico causato dall’esclusione delle liste. Nonostante Bersani avesse chiuso la porta già nel pomeriggio all’ipotesi di un decreto, negando ogni possibilità di accordi sotterranei.

L’ultima ipotesi sul tappeto riguardava un possibile slittamento delle elezioni, nelle sole regioni coinvolte, ossia Lazio, Lombardia (e anche l’inserimento delle comunali di Bologna) alla fine di aprile. Ma anche, in ultima battuta, di un decreto ministeriale, firmato dal solo Maroni, per riaprire contemporaneamente i termini per la presentazione delle liste e quindi superare l’empasse. In attesa, comunque, dell’esito dei giudizi della magistratura a cui "spetta comunque l’ultima parola", come ha voluto sottolineare ancora una volta Napolitano.

Una giornata piena di tensione. Con Berlusconi che è salito al Quirinale, seguito da La Russa, Maroni e Calderoli, con diverse soluzioni in tasca per uscire dall'impasse: la prima, che sarebbe servita per evitare l'esclusione delle liste in Lombardia e Lazio, di un decreto legge per posticipare la scadenza dei termini per la presentazione delle liste elettorali, senza spostare la data del voto. Poi quella del un decreto 'interpretativo' per consentire di allentare le maglie delle norme sulla presentazione delle liste e, infine, quella di un altro dl per spostare direttamente la consultazione elettorale di 15 giorni/un mese, almeno per le due regioni interessate.

Il jolly è rimasto per ore la prima opzione, con un autorevole precedente alle spalle, quello del '95, quando Oscar Luigi Scalfaro, allora capo dello Stato, firmò un dl che spostò la scadenza dei termini per la presentazione delle liste dalle ore 12 del 29 marzo alle 20 del 31 marzo. In pratica, poco più di 48 ore dopo. Ma, in realtà, fu tutta un’altra cosa; il decreto fu emanato e controfirmato da Scalfaro prima della chiusura dei termini per la presentazione delle liste. In pratica non fuori tempo massimo, come invece sarebbe stato in questo caso. Infatti Napolitano è rimasto molto freddo a questa ipotesi che già gli era stata sottoposta telefonicamente da Gianni Letta, pontiere - con il ministro Maroni - anche nel sondaggio di gradimento con le opposizioni. ”Ancora non c'è nulla di definito - aveva detto da Bruxelles Napolitano - quando arriverò a Roma stasera, vedro'''.

Poi, in riferimento ad una soluzione politica, prospettata da alcuni esponenti di centrodestra, la risposta è stata secca: ''Se qualcuno mi spiega cos´è la esaminero''.

Sul secondo fronte, quello della reazione dell'opposizione, i segnali sono stati di chiusura totale per tutta la giornata: ''Qualsiasi intervento d'urgenza in materia elettorale in corso d'opera sarebbe totalmente inaccettabile'', ha risposto gelido Pier Luigi Bersani, segretario del Pd. Altrettanto duro Antonio Di Pietro, leader dell'Idv, che ha paragonato l'ipotesi di un dl ad un ''golpe''.

La maggioranza, fino all’ultimo, ha confidato sul via libera del Colle per placare le critiche dell'opposizione. ''Sbraiteranno ma se ci sarà il consenso del capo dello Stato alla fine si adegueranno'', spiegava fino a pochi minuti prima dell’incontro un ministro del centrodestra.

Quel che è certo è che il Pdl, per tutto il giorno, ha tentato di sottrarre ai giudici del Tar la decisione ultima su chi potesse o meno correre in due regioni fondamentali per l'esito del voto di fine marzo. Tant'è che il presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni, giusto ieri ha annunciato che verranno presentate denunce per irregolarità che sarebbero state commesse dall'ufficio centrale regionale che ha accolto il ricorso dei radicali e contro chi avrebbe potuto manomettere le liste con le firme.

Dopo un incontro con i vertici della Lega (dove Umberto Bossi ha auspicato una ''soluzione politica''), Berlusconi aveva anche presieduto nel pomeriggio l'Ufficio di presidenza del Pdl. Davanti a ministri, coordinatori nazionali e regionali del partito, il premier aveva difeso gli esponenti locali scagliandosi contro l'eccessivo fiscalismo di alcuni magistrati troppo rigidi. Il Pdl, ha sostenuto il Cavaliere, è ''vittima di un sopruso'' anche perché, ha aggiunto con una battuta amara, è curioso che noi mandiamo i militari italiani per garantire il voto in Afghanistan e poi non ci venga garantito il diritto di voto in Italia.

Anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che ha lavorato per abbassare i toni, si è attivato perché fosse trovata una soluzione più condivisa possibile. Fini, in questi giorni, ha lavorato per aprire un dialogo con le opposizioni, nel pieno del suo ruolo istituzionale che, tuttavia, lo sta portando anche molto lontano dall’altro co-fondatore di un partito ormai alla canna del gas.

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