lunedì 22 marzo 2010

Una bella piazza, un pessimo discorso


di EUGENIO SCALFARI

Ho aspettato il discorso di Berlusconi sul palco di piazza San Giovanni prima di scrivere queste righe. Pensavo che avesse in serbo qualche idea nuova, qualcuna delle sue promesse elettorali - per altro mai mantenute - che sorprendesse il Paese e spiazzasse l'opposizione. E intanto, mentre si attendeva l'arrivo sul palco del Capo dei Capi, il Capopopolo, il Capopartito, il Capo del governo, ho guardato la piazza, le facce della gente, le loro parole ai microfoni delle televisioni. Le facce erano pulite, serene, allegre. Doveva essere una festa, la festa dell'amore verso tutti, verso gli altri; una festa di popolo con le sue idee, i suoi bisogni, le sue speranze, come ce ne sono in tutte le piazze democratiche di questo mondo. Così era stato detto dagli organizzatori e così sembravano aspettarsi i partecipanti.

Ma poi è arrivato lui e l'atmosfera è cambiata. Le gente allegra è diventata tifoseria, quella che inveisce contro i giocatori avversari e contro gli arbitri ai quali è affidato il rispetto delle regole di gioco. Una piazza, sia pure affollata, non cambia una situazione politica ma fornisce un elemento in più per valutarne i possibili esiti. Se all'inizio c'era attesa, alla fine il tono si è spento dopo un discorso che è stato uno dei più brutti che Berlusconi abbia mai pronunciato. Ripetitivo, retoricamente bolso, con un tentativo di colloquiare con la piazza che ripeteva un logoro copione già visto molte volte con lui e con altri in epoche più remote: "Volete voi che vinca la sinistra?". "Nooo". "Volete voi che vinca il Popolo della libertà?". "Sììì".

"Volete voi il governo del fare?". "Sì". "Volete che aumentino le tasse?". "Noo". Ha promesso addirittura che il suo governo avrebbe vinto il cancro. Incredibile, ma è accaduto in quella piazza e da quel palco.

Naturalmente ha attaccato a fondo la sinistra descrivendola come una peste da cui lui e soltanto lui ha salvato il Paese sacrificando la sua privata libertà. Si è vantato di avere ridotto i reati di furto di rapina e di omicidio a livello minimo mai raggiunto. Di aver riportato l'Italia tra le grandi potenze col massimo rilievo che tutti gli altri gli attribuiscono. Di aver bloccato l'immigrazione. Di aver fatto sciogliere i campi nomadi. Ha inneggiato a Bertolaso e ai provvedimenti di emergenza che hanno salvato il Paese. Ha ricordato per l'ennesima volta i rifiuti tolti a Napoli (adesso ci risono) e le case fabbricate a L'Aquila.

A metà spettacolo è arrivato al microfono Umberto Bossi e gli ha rubato per qualche minuto la scena. Non so se l'abbia fatto per distrazione o per sottile perfidia ma con il suo stentato parlottare Bossi gli ha conferito un merito che francamente non conoscevamo: quello di non aver firmato una direttiva europea sulla "famiglia trasversale"; un merito alquanto imbarazzante se attribuito proprio a Berlusconi. Quanto al programma per i prossimi tre anni (infrastrutture, diminuzione delle tasse, ampliamento delle case senza bisogno di nessuna autorizzazione e, appunto, la vittoria sul cancro) c'è stato anche uno scivolone clamoroso. La decisione di firmare davanti a quella piazza un patto con i candidati al governo delle Regioni, nel quale patto il governo da un lato e dall'altro le Regioni che saranno guidate dal centrodestra si impegnano a realizzare un programma comune con appoggio reciproco. E le Regioni guidate dall'opposizione, si domanderà qualcuno? "Con loro è impossibile discutere" ha detto dal palco Berlusconi. Il capo del governo ha cioè pubblicamente annunciato che discriminerà le Regioni che in libere elezioni saranno presiedute dall'opposizione. Se questa è la libertà da lui difesa e promessa, stiamone se possibile alla larga.

Ma oltre alla sinistra l'attacco si è concentrato contro i magistrati mossi da intenti politici. Come distinguere quei magistrati dagli altri? Il metro è ovvio. Quelli che processano lui o i suoi amici sono politicizzati, gli altri fanno il loro mestiere. L'attacco è stato particolarmente violento per i magistrati dei tribunali amministrativi di Roma e di Milano che "hanno volutamente truccato le carte per escludere il nostro partito dalle elezioni". In verità a Milano quegli stessi magistrati dopo un più attento controllo hanno riammesso Formigoni. A Roma le cose sono andate diversamente perché le regole escludevano l'ammissibilità di una lista.

Pochi minuti dopo il discorso è arrivata la notizia che il Consiglio di Stato, con una sentenza ormai definitiva, ha respinto per l'ottava volta il ricorso del Pdl per la riammissione della sua lista nella provincia di Roma. Tutti comunisti anche a Palazzo Spada? "Ma ci sarà una grandissima riforma della giustizia" ha minacciato il premier con aria truce. Una decimazione tra i giudici? Le "toghe rosse" all'Asinara? Infine il presidenzialismo: prima della fine di questa legislatura verrà stabilita anche l'elezione diretta del Capo dello Stato. Non poteva mancare, quello è ormai un pensiero fisso, la sua tarda vecchiaia lui la vuole passare al Quirinale. Un discorso piatto, accusatorio, politicamente scadente, letterariamente pessimo. Deludente anche per i suoi che sono una bella gente un po' frastornata.

* * *

I bisogni degli italiani, a qualunque parte politica appartengano, sono diversi da quelli che Berlusconi immagina.

Quando esordì in politica sedici anni fa aveva interpretato lo stato d'animo di una larga parte del Paese. Ricordate la Milano da bere di craxiana memoria? Ebbene, nel '94 non più soltanto Milano, ma tutto il Nord voleva una Padania da bere. Poteri forti, piccole imprese, partite Iva volevano abbattere i recinti, le regole, i lacci e laccioli che impedivano una libera gara. Fu l'epoca del liberismo e chi aveva garretti più robusti agguantava la sua meritata parte di successo e di felicità.

Questa era la domanda che veniva dal fondo del Paese e chi meglio di lui poteva capirla e soddisfarla? C'erano dei nemici da sconfiggere per attuare questo programma e lui li indicò: la casta politica impersonata dai comunisti e dalla sinistra. Il fisco e la burocrazia. E poi un uomo forte e antipolitico al vertice. Un partito-azienda ai suoi ordini. Le istituzioni da usare come una vigna di famiglia. Intanto si disfaceva il vecchio mito della classe operaia, si affermava l'economia globale, cresceva il boom della finanza e la bolla della "new economy".

La sinistra, di tutti questi fenomeni, capì poco o niente. Aveva un'altra visione del Paese che però in quel momento non corrispondeva alle domande, alle voglie, agli umori ed agli interessi della maggioranza. La sinistra pensava ad una crescita equilibrata, alla redistribuzione sociale del reddito per diminuire le disuguaglianze, alla legalità, all'accoglienza dell'onda migratoria. Privilegiava, almeno a parole, il "welfare" rispetto ad un liberismo darwiniano. Strappò ancora qualche vittoria elettorale, ma il trend era già passato di mano.

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Il Berlusconi del 2007 è un fenomeno in parte diverso da quello del '94. È sempre un grande Narciso, un grande venditore e un grande bugiardo, ma alla passione per i propri privati interessi si è affiancata la passione per la politica. Che cosa c'è di più appagante della politica per un Narciso a 24 carati? La sua politica non sopporta regole né ostacoli. Vuole che tutto sia suo. Perciò l'obiettivo primario è il presidenzialismo, l'investitura popolare e plebiscitaria per un presidenzialismo che faccia piazza pulita di tutte le autorità di controllo e di garanzia. Che degradi il Parlamento, la Corte costituzionale, la Magistratura, insomma le istituzioni, al ruolo di consiglieri ed esecutori della volontà del Sovrano. Non più lo Stato di diritto ma lo Stato assoluto, il potere assoluto.

Il programma è questo ed è stato infatti questo il tono del suo comizio in piazza San Giovanni. L'obiettivo è la conquista del Quirinale come luogo di potere senza altri impedimenti. La grande riforma ha questo come scopo.

Qualcuno ha acutamente osservato che negli ultimi mesi l'onnipotente capo del governo e della maggioranza non è riuscito ad ottenere nemmeno l'eliminazione delle trasmissioni televisive della Rai a lui scomode. Le telefonate iraconde con l'Agcom e col direttore generale della Rai non sono riuscite ad ottenere il risultato voluto. Ha dovuto utilizzare l'impuntatura d'un radicale membro della commissione di Vigilanza della Rai per poter azzerare tutte le trasmissioni di informazione del nostro servizio pubblico televisivo. Dunque un onnipotente impotente?

Diciamo meglio: un onnipotente alle prese con regole e autorità neutre ancora esistenti e operanti. Per questo la priorità numero uno è per lui il potere assoluto. Disfarsi di quelle regole e di quegli ostacoli. Danneggiando pesantemente la Rai, favorendo pesantemente Mediaset che è cosa sua, come disse a Ciampi nel tempestoso colloquio del 2006 sul rinvio in P arlamento della legge Gasparri. Non vuole più essere un onnipotente impotente e neppure un potente limitato dalle regole e dalla legge. La legge la fa lui e lui soltanto.

Ha ragione il presidente Napolitano ad insistere sulla collaborazione di tutti alle riforme ed hanno ragione tutti gli osservatori che giudicano pessima una campagna elettorale che non si occupa affatto dei problemi concreti delle Regioni. Ma il tema posto dal Capopopolo e Capo del governo è lo stravolgimento della democrazia parlamentare in un regime di assolutismo ed è con questo tema che bisogna confrontarsi. Il comizio di piazza San Giovanni ce lo conferma. L'opposizione può e deve parlare di sanità, precariato, occupazione, sostegno dei redditi, Mezzogiorno. Ma deve far barriera contro la richiesta di potere assoluto e plebiscitato. Questo ci dice la giornata di ieri ed è un tema che non può essere eluso.

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Lo Stato, nel senso della pubblica amministrazione, è a pezzi. Siamo in coda a tutte le classifiche internazionali. Una burocrazia elefantiaca, insufficiente, infiltrata dalla politica e spesso succube degli interessi anche illeciti.

Questa inefficienza dura da decenni e la responsabilità non è di Berlusconi ma di tutti i governi a partire dalla fine degli anni Settanta e forse anche da prima. L'amministrazione pubblica non è più stato un tema degno di attenzione mentre avrebbe dovuto essere l'obiettivo numero uno da perseguire.

Berlusconi però fa parte della lunga schiera dei governi responsabili di questa enorme disattenzione, ma quel tema non l'ha neppure sfiorato. Per lui la pubblica amministrazione è un cane morto da sotterrare nel momento stesso in cui il Sovrano assoluto sarà insediato. L'amministrazione dovrebbe rappresentare la continuità dello Stato di fronte all'alternarsi dei governi. Garantire il rispetto degli interessi sociali individuali legittimi ma insieme a quello degli interessi generali. Nulla di tutto ciò è all'ordine del giorno.

Quando parlo di pubblica amministrazione parlo anche, anzi soprattutto, della Giustizia che ne costituisce la parte essenziale; parlo della sanità, della fiscalità, della rappresentanza all'estero, della gestione di Regioni e di Enti locali. E parlo anche di governi. Il potere esecutivo fa parte della pubblica amministrazione anzi ne è il coronamento. Dovrebbe esserlo. In Usa il governo del presidente si chiama infatti Amministrazione. Ma quella è un'altra storia e un altro Paese.

Pubblica amministrazione, Costituzione, legalità: questo dovrebbe essere il programma di un serio partito democratico e riformista. Il presidenzialismo in salsa berlusconiana è l'antitesi del riformismo democratico.

Quanto alla lotta contro la corruzione, essa riguarda soprattutto i partiti. Dovrebbero darsi un codice etico e applicarlo puntualmente; prima che la magistratura si esprima, i partiti dovrebbero sospendere i loro membri indagati, una sospensione sul serio che non consentisse alcuna interferenza sulla politica. Il caso Frisullo da questo punto di vista è fin troppo eloquente. Il caso Frisullo dimostra anche quanto sia fallace e falsa l'accusa contro le "toghe rosse" o politicizzate. Mentre Trani mette sotto inchiesta il premier, la procura di Bari arresta Frisullo. L'Ordine giudiziario è un potere diffuso che viene esercitato dai magistrati secondo i loro ruoli, la loro competenza territoriale e i diversi gradi della giurisdizione, sicché è impossibile lanciare quotidianamente accuse nei loro confronti nelle quali eccelle il presidente del Consiglio. Da parte sua quelle accuse hanno una valenza eversiva che mina alle fondamenta lo Stato di diritto.

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I sondaggi d'opinione non possono esser resi pubblici in queste ultime settimane prima del voto, ma chi ascolta e analizza i sentimenti della pubblica opinione si è fatto un'idea del "trend" pre-elettorale e il trend è questo: la quota dei non votanti sembra essersi attestata intorno al 30 per cento. Circa metà di questa astensione ha carattere permanente, l'altra metà ha carattere punitivo nei confronti dello schieramento di origine. Di questo 15 per cento gli esperti ritengono che almeno due terzi provenga da elettori di centrodestra. Astinenza significa sottrarre mezzo voto al proprio schieramento di provenienza.

Queste considerazioni non sono appoggiate da alcun sondaggio recente ma si deducono logicamente. Servirà la manifestazione di ieri in San Giovanni a modificare il trend? Credo di no. Il discorso di Berlusconi, l'abbiamo già detto, è stato di modestissima qualità. L'intento era di spingere il suo elettorato al voto compatto senza smottamenti pericolosi, ma da questo punto di vista l'occasione sembra mancata. Ma può un Paese come il nostro esser guidato da un piazzista che vende prodotti vecchi e spesso avariati? Questo è il mistero che, speriamolo, le elezioni del 28 marzo dovrebbero cominciare a sciogliere.

(21 marzo 2101)

1 commento:

ifarabutti ha detto...

Nella piazza Pdl ragazzi pagati: la testimonianza:

http://ifarabutti.wordpress.com/2010/03/20/nella-piazza-pdl-ragazzi-pagati-la-testimonianza/