Storia del maestro che trasformò il pianoforte nello strumento simbolo dell’800
di Mattia Carzaniga
Chopin merita il telefono fisso. Dunque, dopo aver risposto (in francese) al cellulare, Corrado Augias ci richiama da casa per una conversazione dal clima decisamente più salottiero. Se non inteso in senso deteriore, è del resto un aggettivo che ben si addice al compositore di cui sopra, protagonista del nuovo progetto teatral-musicale del giornalista e scrittore romano: Raccontare Chopin, appunto, regia di Felice Cappa. Un esperimento a metà strada tra melomania e divulgazione popolare che vede sul palco lo stesso Augias, accompagnato al pianoforte dal maestro Giuseppe Modugno. Il primo racconta, l’altro gli fa da contro-canto eseguendo i brani di cui si descrive la genesi, assieme agli scampoli di vita del grande “Federico”, come lo chiama Augias: i primi anni nella Polonia asservita alla Russia e l’incontro con gli intellettuali che animavano Parigi; l’amore per la scrittrice George Sand e la salute precaria. Il debutto ieri sera all’Auditorium Parco della Musica di Roma (replica questa sera nella Sala Sinopoli), poi un lungo tour che toccherà, tra le altre “piazze”, anche Milano, Bologna e prima ancora Parigi (28 e 29 maggio), che per Augias è ormai diventata una seconda casa.
Ci spieghi il perché di questa operazione.
È l’occasione per conoscere davvero, seppur in un’ora e mezza di spettacolo, una delle vicende più belle della storia della musica, vissuta in senso pienamente romantico. E anche per spiegare il modo modernissimo in cui Chopin componeva: è stato lui a cambiare l’uso della tastiera, trasformando il pianoforte nello strumento simbolo dell’Ottocento.
La parola e la musica diventano in scena un “discorso” solo.
Il maestro Modugno è un prezioso supporto, è uno dei pochissimi musicisti in grado di raccontare quello che suonano. Fa ascoltare il primo tema di una composizione, poi il secondo, quindi esegue il brano per intero. L’ascolto, unito al racconto di quello che c’è dietro la partitura, diventa in questo modo un’esperienza decisamente più ricca.
Chopin in due parole.
È stato un uomo che ha composto musica di tutti i tipi, anche se – caso molto raro nella storia – per un solo strumento: passava da composizioni più convenzionali e “da salotto” come i valzer, bellissimi anche se il più delle volte scritti per essere venduti alla buona società e farci soldi, a capolavori immortali come le Polacche. Lo spettacolo si chiude con quella, splendida, in La bemolle, ancora più emozionante se si pensa alla Polonia decapitata di oggi.
Va molto di moda parlare di neo romanticismo. Che cos’è stato il vero Romanticismo?
Uno dei movimenti esistenziali, e non solo strettamente culturali, più belli e complessi di sempre, oltre che davvero rivoluzionario. Oggi ci restano i suoi cascami sulle scatole dei cioccolatini, ma all’epoca spaccò tutte le regole, sfidò la rigidità neoclassica del tempo, portò il disordine nel canone estetico, raccontò l’amore attraverso temi che allora si era soliti rifuggire, come la malattia e la morte. In un paese come il nostro, un poeta come Ugo Foscolo non avrebbe mai potuto scrivere I sepolcri, se non fosse arrivato il vento del Romanticismo.
Si dice che viviamo in tempi di massima aberrazione estetica, eppure progetti come il suo dimostrano che c’è una domanda di cultura sempre più crescente. Dove sta la verità?
In tutte e due le cose, ovviamente, solo che purtroppo prevale la prima. Io vedo teatri sempre stracolmi, persone costrette a stare fuori dalle sale anche in piccole città di provincia, persino, ricordo, quando portavo in scena lo spettacolo non certo facile sul martirio di Giordano Bruno. Vedo gente che addirittura paga per vedere gli scrittori al Festival della Letteratura di Mantova, ma si tratta comunque di una ridottissima minoranza rispetto alle grandi masse di pubblico. Il rischio è che le nostre esperienze restino solo delle goccioline, poi escono i risultati elettorali e c’è poco da dire…
La cultura non è più la cifra di questo paese.
In realtà non lo era nemmeno per tutta l’Europa in età romantica. Come accade per molti fenomeni, il Romanticismo è il connotato di quell’epoca che oggi ci piace ricordare, ma quella dell’800 era una società crudele, plasmata dalla Rivoluzione Industriale, come ci lascia scritto Marx. Ma noi lo facciamo di proposito: vogliamo soffermarci solo su Chopin, e trascurare tutto il resto.
Chi potrebbe essere Chopin oggi?
Non saprei. Non amo granché la musica contemporanea “seria”, anche se ogni tanto spunta qualche nome interessante, penso a Ludovico Einaudi. Certo del Novecento restano opere altissime, i musical di Andrew Lloyd Webber ad esempio: Evita non ha assolutamente nulla da invidiare all’opera di Puccini.
Verrà un giorno in cui torneremo romantici?
Forse succederà, io me lo auguro, ma ora sento troppo forte l’oppressione dei media più scadenti e aggressivi, che sembrano davvero sempre più invincibili. Se mi sta chiedendo se siamo senza speranza, purtroppo oggi la mia risposta è sì.
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