di Furio Colombo
Molti focolai aperti nella vita italiana si disputano l’attenzione, la tensione, l’allarme dei cittadini. Intanto una crisi internazionale (I nostri connazionali di Emergency sequestrati in Afghanistan), una religiosa (l’improvvisa incapacità della Chiesa di comunicare), la scomparsa dell’America (dilaniata dai branchi scatenati della sua destra), tutto ciò diffonde uno strano senso di squilibrio. Ma non si ascoltano voci di guida, di incoraggiamento o almeno di presa d’atto della vasta nuvola grigia che – come il vulcano islandese – impedisce di vedere. Tacciono voci che spesso offrono una spiegazione sull’intrigo di eventi: i vescovi, i radicali, l’antica sinistra e persino gli imprenditori, molti dei quali sono vicinissimi al tracollo. I focolai italiani sono tanto noti quanto misteriosi. Misterioso vuol dire che non sai chi agisce e chi è agito; vuol dire che nessun commentatore politico è in grado di offrire una credibile narrazione dei fatti. Sto parlando di Fini contro Berlusconi, di Bersani alle prese col suo partito, che è con lui e contro di lui, di Bossi, che sguaina il suo spadone contro tutti e dà – più di tutti – notizie sulla precarietà del momento: vuole incassare subito. Si comporta non come uno che è appena arrivato, ma come uno che sta per andar via.
La questione di Fini potrebbe essere descritta bene da un dentista: ti indica subito la radice malata. Ma sarà (sarebbe) un lavoro non facile, non indolore andare a estirparla. Tanto più se il paziente (non Fini, ma i suoi) ha paura dei ferri. Quanti – fra gli ex An – sono davvero disposti a seguire Fini se Fini si separa dalla casa madre? Berlusconi è una droga di cui è difficile liberarsi: provvede a tutto, ti protegge a vita e chiede solo ubbidienza. Se rinunci alla reputazione, è quasi la felicità. Rende indifferenti, uno stato di grazia da difendere contro ogni incursione, anche con la violenza (vedi Ignazio La Russa ad Anno zero, 15 aprile). Si delinea, salvo errore o colpo improvviso, l’esito dello scontro Fini-Berlusconi: inevitabile, ma non finale; grave ma senza uscita; immediato, ma rinviato. Un peso in più per i cittadini: turbolenza anche grave, fino all’incertezza della continuità del Governo, a carico degli elettori, specialmente gli elettori di destra, che erano stati abituati a credere, votare, lasciar fare a gente con pochi scrupoli, ma di polso sicuro.
Bossi, che con il suo finto trionfo ha squilibrato l’intero paesaggio dalla sua parte, può avvantaggiarsi arraffando – nel caos – banche e gioielli. Ma non può essere di aiuto perchè è la causa del problema. Ho detto “finto trionfo” perché Zaia, con il suo famoso partito radicato nel territorio, non avrebbe vinto contro Galan se Galan – precedente e apprezzato governatore del Veneto – non fosse stato brutalmente rimosso dal padrone. Ho detto “finto trionfo” perché Cota, che ha vinto per mille voti, non avrebbe vinto senza un piccolo aiuto di Sergio Chiamparino, leggendario sindaco PD di Torino, possibile innovatore del PD nazionale. Chiamparino, nel momento cruciale, non si è fatto trovare. La Lega, dunque, ha vinto - letteralmente - a spese di due grandi assenze. E adesso pretende. Ma da chi? Si piegherà il PD a credere alla vecchia storia della “costola della sinistra”, la stessa costola che, nel tempo libero, si occupa di affamare i bambini poveri delle scuole, di smantellare i campi Rom, di respingere in mare chi chiede asilo politico? Vorrà davvero il padrone e signore Berlusconi portare in cielo con sé gli sgangherati angeli della Lega, un po’ troppo ebbri della loro vittoria con l’aiutino? Quanto al PD, il suo problema più grande è rimettere in piedi il tavolo delle riforme “insieme”, appena rovesciato con malagrazia dagli avversari. Il Pd insiste nel disporre per bene le carte e ripetere (sarà la trentesima volta) “siamo pronti al dialogo”. Come nel famoso racconto di Moravia, “Fecero un party e non si presentò nessuno”. È un destino che si ripete, ma il PD è testardo. Lasciamolo in attesa del “dialogo”. E spostiamoci sul versante internazionale del tumultuoso momento. Ciò che avviene in Afghanistan è molto più grave e più oscuro di quel che si dice. Primo, i tre operatori sanitari italiani di Emergency sono stati arrestati da – o con la collaborazione di – militari inglesi. Comandati da chi? Su ordine di chi? Lo sapevano per forza i superiori – o mandanti – inglesi a Kabul. Lo sapevano per forza alla Nato. Dov’erano gli italiani della Nato (parlo di ufficiali e diplomatici) in quelle ore? Lo sapeva Londra? Hanno tenuto Italia e leader italiani all’oscuro? O c’è qualcosa di non detto o c’è uno schiaffo pauroso degli alleati all’Italia. Ognuna delle due risposte può spiegare la incerta e debole reazione italiana, il silenzio degli alleati e quell’insultante e umiliante “speriamo che non sia vero”, detto dei presunti imputati e presunti terroristi, più ostaggi che prigionieri dal ministro degli Esteri e dal ministro della Difesa italiani. Ciò che avviene in Vaticano non è meno allarmante. Improvvisamente la Chiesa Cattolica – un punto non secondario della tenuta di equilibrio nel mondo – perde peso, perde il filo, perde la faccia. Non di fronte alle accuse di pedofilia, a volte spostate con animosità fuori dal pur grave contesto. Piuttosto perde la faccia con risposte strane, stridule, estranee alla storia e alla cultura; offre argomenti che sarebbero sconsigliati da qualunque avvocato di media levatura. Nasce da ciò un senso di disorientamento e di vertigine che solo pochi affermeranno di provare, ma che certo coinvolge masse di persone anche in Italia. Un forte colpo in più allo squilibrio.
Mancano voci credibili, perché estranee a qualunque causa o concorso di questo squilibrio. Tace, salvo sporadiche incursioni su questa o quella questione, tutto ciò che era sinistra, dalla Cgil ai cattolici del volontariato. Manca – nel senso coerente e potente e tempestivo che è spesso tipico per loro – la voce disinteressata dei Radicali. Nel suo essere peggiore, questo è un momento nuovo, che chiede per forza non ciò che è già stato detto, per fortuna, tante volte in passato. Manca una visione diversa, per capire e aiutare a capire l’incredibile serie di fatti brutti e nuovi. E nel PD, nel partito che sceglieva ed eleggeva le sue cariche con milioni di voti sino a poco tempo fa, possibile che non ci sia rivolta, nel senso alto e nobile della parola, non per chiedere ma per dare? Possibile che tutto quel che si trova sono 105 firme per una riforma della giustizia con la parte sbagliata, nel momento sbagliato e mentre minaccia di andarsene dal Pdl persino Gianfranco Fini?
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