venerdì 9 aprile 2010

È INIZIATA LA TRAGEDIA GRECA FORSE IL CRAC DOPO IL WEEKEND


Ultima occasione per Germania e Fmi di intervenire

Ormai ci sono soltanto due possibilità: o nel weekend la Germania oppure il Fondo monetario internazionale lanciano un piano di soccorso alla Grecia, oppure lunedì le banche greche potrebbero non riaprire e lo Stato arrivare alla bancarotta.

Per il momento tutto lascia pensare il peggio. Ieri le azioni delle banche greche hanno continuato a scendere in Borsa fino al 7,4 per cento dopo l’annuncio del governo di mercoledì: gli istituti di credito hanno chiesto di accedere a 17 miliardi di euro di fondi pubblici (parte di un pacchetto da 28 approvato alla fine del 2008). Segnale che i banchieri greci sono pronti al peggio: ormai i mercati hanno deciso che della Grecia è impossibile fidarsi. Basta vedere l’andamento dei due indicatori che riassumono la capacità di un Paese di trovare credito sul mercato (e quindi di rinnovare il debito in scadenza senza dichiarare la bancarotta): il rendimento dei titoli di Stato greci a 10 anni è salito sopra il 7 per cento e ieri la differenza rispetto ai titoli tedeschi, usati come parametro di confronto per gli altri titoli pubblici, è esploso fino ad arrivare al 441 punti base (l’Italia è a 93), cioè il 4,4 per cento in più. Un livello mai toccato dal 1999, quando a livello finanziario l’euro ha sostituito le valute nazionali con lo scopo, tra l’altro, di ridurre il costo del debito pubblico.

LO SCHIANTO. La crisi della finanza pubblica è stata definita “uno schianto ferroviario al rallentatore”. La locomotiva sembra sempre vicina a sfracellarsi contro il muro dell’insolvenza ma il disastro poi viene sempre rimandato. Perché, quindi, i dati di ieri hanno scatenato il panico sui mercati e trascinato al ribasso le Borse di mezzo mondo (indice Ftse di Atene: -6,92 per cento)? La risposta è che, in teoria, non c’era alcuna ragione perché ieri il debito greco ricevesse la sentenza capitale espressa nell’impennarsi del suo costo. Il 25 marzo il Consiglio europeo che riunisce capi di Stato e di governo dell’Unione ha raggiunto un’intesa: se si renderà necessario, i Paesi europei sono pronti a prestare direttamente denaro alla Grecia nel caso in cui non dovesse trovare acquirenti pronti a comprare i suoi titoli di debito. Un impegno soltanto sulla carta a cui i mercati avevano creduto a metà: il 29 marzo la Grecia ha raccolto 5 miliardi di euro con un’asta di buoni del Tesoro a sette anni, ma ha dovuto promettere agli investitori un prezzo alto, 300 punti base (cioè 3 per cento) più alto rispetto ad analoghi titoli tedeschi. Poi è arrivato un pulviscolo di notizie, ognuna da sola non sufficiente a scatenare il panico, che ha contribuito a eccitare i mercati: forse le statistiche greche sul deficit (12,4 per cento nel 2009) sono da rivedere al rialzo, forse il governo di Atene non è in grado di attuare il risanamento promesso, poi ci sono i sondaggi che indicano il malessere dei tedeschi verso interventi di emergenza in Grecia e il quotidiano Frankfurter Rundschau che rivela un documento interno della Bundesbank, la banca centrale tedesca, che boccia l’accordo europeo “raggiunto senza consultare, secondo quanto ci risulta, le banche centrali e [che] contiene dei rischi per la stabilità che non possono essere sottovalutati”. Anche la Banca centrale europea, con il suo presidente Jean-Claude Trichet, ieri ha ribadito di essere poco entusiasta di eventuali manovre di salvataggio che coinvolgano il Fondo monetario europeo. Il problema, infatti, è che un po’ tutti – e soprattutto i mercati finanziari – sono consapevoli che gli altri Stati europei possono anche prestare qualche miliardo alla Grecia, ma poi non hanno l’autorità di costringerla alle riforme (privatizzazioni e tagli di spesa) necessari per il risanamento. Soltanto il Fmi può farlo, usando lo strumento dei prestiti condizionati alle riforme.

EUROFLOP. La Germania e la Francia hanno bloccato la costituzione di un Fondo monetario europeo che avrebbe permesso di risolvere il problema, ma che richiedeva di stanziare davvero soldi, non di limitarsi alle promesse come ha fatto finora il Consiglio europeo. E Angela Merkel ha sempre cercato l’equilibrio tra due esigenze opposte del suo elettorato: limitare la spesa pubblica, soprattutto se per finanziare altri Stati, e assicurare che i Paesi che importano i beni prodotti dalle aziende tedesche possano continuare a farlo. Adesso è arrivato il momento di scegliere tra i due obiettivi. E non è detto che ci riesca. Tra gli operatori finanziari, ieri, circolava già la voce che le banche tedesche sono state le prime a chiudere le linee di finanziamento a quelle greche. La finanza greca, quindi, sta trattenendo il respiro in attesa di capire se arriverà un sostegno dalla Germania – e quindi a catena degli altri Paesi vincolati dall’accordo del 25 marzo – oppure dal Fondo monetario.

Se lunedì, all’apertura dei mercati, non ci saranno state novità, le banche greche potrebbero trovarsi nell’impossibilità di avere i finanziamenti per l’ordinaria amministrazione. E il governo di Atene non può certo permettersi di usare la spesa pubblica per salvarle.

(ste. fel.)

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