10/4/2010
PAOLO PASSARINI
Ha indicato le priorità di riforma, ha suggerito il metodo da seguire, ha definito la cornice politica e costituzionale di supporto e, infine, ha spronato all’azione. Come era stato anticipato, si è rivelato davvero un discorso «importante» quello pronunciato ieri da Giorgio Napolitano nella Sala Rossa della Provincia e ascoltato con riverente attenzione dai dirigenti veneti della Lega. Il Presidente ha parlato a braccio per più di mezz’ora («dirò un po’ più di due parole», ha avvertito «in exergo»), appoggiandosi a una scaletta di appunti, e questo, forse, ha contribuito a rendere più deciso del solito il suo tono. E’ votata a un’altra dolorosa sconfitta -ha detto in sostanza- la strategia di buttare sempre nuova carne sul fuoco delle riforme, mentre è ragionevole e necessario portare a compimento quelle che sono già mature e sulle quali si è già registrato un accordo di massima tra il grosso delle forze politiche. E ha detto quali, sostenendo che, pur essendo «fuori dalla mischia» rispetto alle «richieste della politica», si sente «impegnato a garantire il massimo di stabilità istituzionale e di certezza».
Il Presidente ha fissato, innanzitutto, due principi generali: «non pensare solo al nostro interno», cioè tenere come riferimento la realtà europea e anche quella globale, e «non pensare che le riforme, di per sé, siano una formula magica», destinata a funzionare senza le opportune e successive «misure particolari». Poi, partito da un’analisi della situazione economica del paese e del Veneto, Napolitano ha sostenuto che «si deve certamente considerare un insieme di interventi di riforma, in campo economico-sociale e anche in campo istituzionale, non più procrastinabili». Tra le prime, ha elencato, nell’ordine, una riforma del fisco, necessaria non solo per giustizia sociale, ma anche per stimolare il mercato interno, una riforma del sistema di sicurezza sociale, imposto anche dall’invecchiamento medio della popolazione, e una riforma che incida sulla formazione, l’istruzione e la ricerca. A queste («non sembri un fuor d’opera»), ha aggiunto la riforma della giustizia, non solo perché un sistema sano ha bisogno di «certezza del diritto», ma anche perché una giustizia «tempestiva» aiuta l’economia e può favorire l’arrivo, in Italia, di investimenti esteri. Venendo alle riforme costituzionali, Napolitano si è augurato «che si esca al più presto da anticipazioni e approssimazioni che non si sa a quali sbocchi concreti possano condurre», invitando piuttosto bruscamente a smetterla con la pirotecnia istituzionale. «E’ bene tener conto -ha osservato- dell’esperienza e dei tentativi falliti».
Di conseguenza, il presidente ha sconsigliato di «riaprire capitoli complessi e difficili, come quelli di una radicale riforma di governo», vale a dire «presidenzialismo e premierato», sulle quali, anche se è «legittimo» proporle, «negli ultimi 15 anni non si sono delineate soluzioni adeguate e politicamente praticabili». Viceversa, è pienamente maturo il compimento di una riforma federalista, che, dopo l’attuazione del federalismo fiscale, sia infine «coronata dalla riforma del bicameralismo perfetto», cioè dalla creazione di una seconda Camera delle Regioni e delle autonomie. L’articolo 5 della Costituzione incoraggia a procedere su questa strada, sulla base del principio che «non c’è e non deve esserci alcuna contrapposizione tra autonomismo di ispirazione federalista e unità nazionale», purché si tratti di un federalismo in cui al senso di «solidarietà» delle regioni ricche corrisponda il «senso di responsabilità» di quelle povere. Premessa perché questo programma possa realizzarsi con successo è che le forze politiche imparino a «scontrarsi con misura», rinunciando alla cattiva abitudine di ricorrere a «giudizi estremi», che «forse rendono sul momento», ma in realtà «fanno danni». Luca Zaia, astro nascente della Lega, annuiva convinto.
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