di Rita Di Giovacchino
Vittima di una "imboscata”, organizzata da un gruppetto di carabinieri della compagnia Trionfale - le ormai tristemente note “mele marce” - Piero Marrazzo esce trionfalmente assolto dalla disavventura in via Gradoli. Quando fu pizzicato in compagnia di Natalì e immortalato in un video oggetto di una catena di misteri e ricatti che avrebbero lasciato a terra un trans (Brenda) e un pusher (Gianguarino Cafasso). Vicenda di cui lui è però del tutto incolpevole, lo afferma la Cassazione sollevando da ogni responsabilità penale l'ex presidente della Regione Lazio, dopo aver esaminato nel merito i comportamenti dell'ex governatore, oggetto di critiche e illazioni che gli sono costati la carriera politica ma che non sembrano aver trovato conforto nei codici. Una linea perfettamente coincidente con quella finora espressa dalla Procura di Roma, che culmina con un verdetto che scinde radicalmente la sfera privata da quella politica. Se nuove indagini ci saranno possono riguardare soltanto la tela di ricatti ordita dalla gang in divisa ai danni di altri poveri cristi, siano essi trans o illustri personaggi, vittime di rapine o di ricatti e forse anche omicidio.
Dal verdetto esce invece aggravata la posizione del maresciallo Nicola Testini e dei suoi sottoposti Luciano Simeone e Nicola Tagliente, che restano in carcere. Il caso Marrazzo invece finisce qui e l'ex governatore ha deciso di uscire allo scoperto, per la prima volta dall'inizio della vicenda, accettando di incontrare i giornalisti nello studio del suo avvocato Luca Petrucci. Nervoso, dimagrito, emozionato, come sempre elegante, con i capelli ormai bianchi rasati quasi a zero. “Finora sono stato zitto, non ho contestato tutte le falsità che sono state dette. La verità l'ho raccontata davanti ai giudici". Adotta un profilo basso, con un sussulto ammette le sue colpe: “Io sono colpevole, è vero, ho fatto errori ei confronti di mia moglie e delle mie figlie che mi sono state vicino sempre. Ma non ho commesso reati, ho una famiglia splendida".
Cala il sipario, da domani potrà tornare in Rai, forse assumere quell'importante incarico come corrispondente da Londra - di cui si mormora da giorni a Saxa Rubra. Al momento nessuna responsabilità penale è riscontrabile né per quanto riguarda l’uso dell’auto blu - che Marrazzo utilizzò la mattina del 3 luglio 2009 per raggiungere l’appartamento di Natalì - né per l’eventuale utilizzo di cocaina, che in base ai risultati delle indagini "è stata attribuita proprio agli indagati, che miravano a rendere più gravosa la posizione del Marrazzo... Ma se pure la droga l’avesse portata l’ex governatore, nessuna conseguenza di natura penale avrebbe potuto derivargliene, trattandosi di droga chiaramente destinata al consumo personale".. Ancora: "Pretestuose sono le accuse su una falsa denuncia di smarrimento degli assegni", per cui Marrazzo non è mai stato indagato perché ne diede notizia alla banca per "non favorire i suoi aguzzinì".
All'innocenza di Marrazzo fa da contrappeso la condotta dei tre militari che lo filmarono, ricattarono, cui erano "ben note le sue debolezze". La Cassazione sconfessa la tesi dell'irruzione di servizio: fu un blitz preordinato, dal tavolo apparecchiato con cocaina al documento con foto. Ma è soprattutto “la condotta tenuta nei giorni successivi” a smascherare Simeone e Tagliente che non verbalizzarono il loro intervento, né informarono i superiori, né sequestrarono la droga rinvenuta nell’abitazione. Una vicenda "complessa e torbida" all'interno della quale emergono solo le responsabilità dei carabinieri indagati. Incolpevoli sono anche il fotografo Massimiliano Scarfone, Domenico Masi, Carmen Pezzuti e Marco Cinquegrana. Non sono indagati, né indagabili, per ricettazione, in quanto nessuna vendita si è mai concretizzata "proprio a causa del dubbio sulla legittima provenienza del filmato". Il caso Marrazzo si chiude qui. Solo esecutori materiali e nessun mandante, almeno per ora.
Nessun commento:
Posta un commento