La militanza sindacale vista come un grave pericolo per lo Stato Dalla fine dell’ ’800 al Fascismo, storie di “ribelli” raccontate in un libro
di Edoardo Novella
UOMINI MINIMI. Portieri, commessi, camerieri. Nei caffè. Dietro ai banconi polverosi degli alberghi. Nei retro umidi delle cucine o nelle scintillanti sale da pranzo tra porcellane, cristalli e cappelli di donna. Una piccola folla di invisibili dentro cui però spesso abitavano attivisti, sindacalisti, socialisti e comunisti. Inaspettati “sovversivi”. In grembiule, in divisa. In frac. Come in una serie di fotogrammi le loro vite sono state fatte riemergere dagli archivi. Quelli del Casellario politico centrale. Le loro schedature, i loro “connotati”, il lavoro dei questurini: quello puntiglioso e diligentemente burocratico di fine ‘800-inizi ‘900; quello più invasivo, sommario e persecutorio del fascismo. Nelle pagine raccolte in Sovversivi (a cura di Luigi Martini e Patrizia Lazoi per il Centro Studi Filcams-Cgil) quasi la genealogia – anche antropologica con questi visi, questi occhi, queste barbe – di una nuova classe. Gente dall’“andatura svelta” e dall’espressione fisionomica “alquanto vivace” come quella di Luigi Tagli, cameriere al Caffè Vittoria di Genova. “Ha frequentato le scuole tecniche – annotano dalla prefettura nel 1925 – è di svegliata intelligenza”. Già perché Tagli “è un repubblicano convinto e delle sue idee ne fa sempre attiva propaganda fra amici e compagni di lavoro”. E allora nessuna tregua: osservato senza sosta, braccato fino a Marsiglia, fino a Parigi. Ma lui insisterà per tutto il ventennio: comizi, incontri, nei bar e negli alberghi in cui non smetterà di lavorare. Oppure gente come Angelo Cabrini, “dotato di molto ingegno – osserva ancora la prefettura genovese, ma siamo nel 1895 –, di facile parola e di una eccezionale attività, si comprende come egli sia un rivoluzionario dei più nefasti. Dall’aspetto parrebbe mite, nutre invece sentimenti ribelli e pericolosi, alberga nel cuore indomite passioni”. Un anno prima Cabrini si era messo alla guida del malcontento dei lavoratori del Grande Magazzino dei Fratelli Bocconi a Milano – il primo di questo tipo in Italia – per spingerli a forme di resistenza sindacale.
Gente che si ritrovò ad essere una classe “nata” come in una faglia tra i mestieri canonici dei braccianti e degli operai. Venuti al mondo quando si è creato uno spazio: quello pubblico dei circoli, dei caffè e dei ristoranti, appunto. Dal Risorgimento in avanti. E allora via dalle case borghesi o patrizie in cui si stava a servizio, via dai padroni. Ma “liberarsi” da quell’atteggiamento radicato di servilismo sarà la tara più pesante proprio rispetto alla capacità di pensarsi e di affermarsi come classe. Di rivendicare diritti. A questi “sovversivi” ci vorranno 20 anni in più rispetto agli altri “compagni delle fabbriche” per ottenere il riposo festivo (1907). Ancora più difficile l’altro passaggio: quello di evolversi come soggetto politico “rivoluzionario”. Alcuni andarono a combattere fino in Spagna per la guerra civile, è vero. Altri scelsero la via dell’emigrazione politica: dal Sudamerica fino ad Hong Kong. Altri – i più – rimasero con le loro storie. Traiettorie spesso “anarchiche”, addirittura “doppie” . Storie di gente come Luigi Codevilla, “professione” giornalaio. Nel 1896 aveva manifestato contro la partenza delle truppe italiane verso l’Africa. E’ socialista, manda articoli al giornale di partito L’Era nuova di Genova, sì, ma “pericoloso”? Oppure? La prefettura lo indica come persona “di discreta educazione e molta intelligenza”, ribaltando il giudizio espresso dai colleghi di Alessandria che invece lo avevano descritto di “poca istruzione e cultura”. Quasi due persone: “E’ di carattere alquanto violento” in Liguria, ma era stato “di carattere calmo” nella città piemontese. Viene segnalato a Milano nel 1902 come “instancabile propagandista (...), anima dello sciopero dei camerieri verificatosi nello scorso giugno”.
E ancora gente come Maria Anna Rygier: commessa di studio ma anche segretaria dell’“Unione impiegati e commessi di aziende private”. Socialista rivoluzionaria, sindacalista, poi anarchica, collaborazioni con L’Avanti e con L’Unione. Processata e condannata più volte, la Rygier sostiene “da un punto di vista che sfiorava l’operaismo, il diritto di voto a tutte le donne o a nessuna”. E’ il 1906.
Oppure come Giovanni Nicola, “comunista”, dirigente della Filam – la Federazione dei lavoratori d’albergo e mensa –: “Proviene dal Partito socialista (...) esplicò grande attività nel partito prendendo viva parte alle dimostrazioni (...) che verso la fine del 1920 culminarono con lo sciopero di classe che durò ben 53 giorni” a Milano, il più lungo. Decorato per le sue azioni sull’altipiano di Asiago, sul Piave e sul Grappa, dopo la Grande Guerra si dedica completamente all’attività sindacale. A metà del 1922, in rappresentanza della Camera di commercio di Milano, fa parte del comitato segreto per la preparazione dello sciopero generale di agosto per opporsi all’instaurazione del regime mussoliniano. Ma la conclusione fallimentare e cruenta dell’iniziativa, le divisioni all’interno della sinistra, le posizioni della maggioranza riformista nella Cgdl portarono Nicola a uno scontro frontale con l’organizzazione. Entra – siamo nel '24 – nel PCd’I, collabora a Sindacato Rosso e scrive su L’Unità con lo pseudonimo di “Augu”. Basta e avanza per assicurargli l’arresto e il confino a Lipari. Entra anche nel folto numero di comunisti condannati nel cosiddetto “processone” – nel 1928 alla sbarra del Tribunale Speciale tutti i vertici del partito – assieme a Terracini e Gramsci. Contro le cui tesi – nel carcere di Turi – sembra che Nicola sia stato tra i più accesi oppositori. Amnistiato nel ‘34, ripara a Parigi, con l’Ovra che continua a seguirlo come un’ombra. Nel ‘40 i collaborazionisti francesi lo arrestano, internandolo prima nel campo di Vernet d'Ariége e poi consegnandolo agli italiani che lo rispediscono al confino, stavolta Ustica e poi Ventotene. Liberato nel ‘43 riprende la lotta nella Resistenza.
Gente come tanta. Consegnata alla polvere dei faldoni e del tempo. Resuscitata però adesso, seppure tra le pagine. Su cui magari metteranno gli occhi – oggi – le badanti ucraine, i lavapiatti pachistani, le guardie giurate maghrebine, gli affittacamere venuti da qualche buco di mondo in questo buco di mondo. Loro, forse, i nuovi sovversivi.
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