lunedì 26 aprile 2010

LA GRECIA CHE MUORE DI DEBITO


La Merkel dopo le richieste di Papandreou: “Troppe speculazioni”

di Superbonus

“È come fermare una pallottola con la carta igienica” la celebre frase di Alain Delon nel film Airport 80 si applica perfettamente al tentativo fatto dal presidente greco Papandreou di rassicurare gli investitori internazionali annunciando che avrebbe attinto ai fondi stanziati da Fmi e Unione europea. Ma questo non cambierà il destino della Grecia che sarà, prima o poi, costretta ad una ristrutturazione del debito trascinando con sé il Portogallo.

Sono le prime vittime di un establishment europeo che ha consolidato il potere e la leadership aumentando costantemente i debiti, senza nessun disegno di futuro. La spinta economica e la coesione sociale dell’Europa degli ultimi 10 anni sono state costruite sulle fondamenta d’argilla di un debito crescente delle nazioni.

IL DEBITO. Il debito privato consentiva a Gran Bretagna e Spagna di creare la propria bolla immobiliare gonfiata da mutui concessi con troppa generosità a generazioni che non avevano mai visto una vera crisi economica. Il debito pubblico permetteva a nazioni come Italia, Portogallo e Grecia di mantenere artificialmente alto il proprio tenore di vita attenuando le tensioni e l’insofferenza sociale con generose elargizioni camuffate da “investimenti indispensabili”, “incentivi al consumo” e semplice spreco di denaro pubblico.

In queste bolle parallele è cresciuto un nuovo establishment economico e politico che ha gestito l’erogazione del debito e l’indirizzo della spesa.

Un fiume di denaro che si è riversato, ad esempio, sulla sanità pubblico/privata consentendo ascese economiche formidabili a piccoli imprenditori che si ritrovano ora proprietari o azionisti dei più importanti giornali.

Si è riversato nel mercato immobiliare costruendo fortune fulminee con il generoso finanziamento di banche compiacenti che a sua volta dovevano essere scalate dagli stessi personaggi che avevano finanziato.

Si è riversato su banchieri che entravano e uscivano dai centri di potere più importanti ministeri del Tesoro e Banche centrali con un continuo balletto di poltrone fra gli stessi nomi, le stesse cordate e gli stessi interessi che controllavano, e controllano, la finanza europea.

L’establishment della bolla è cresciuto, ha acquisito un crescente consenso creando il pensiero unico del profitto a tutti i costi e ha lucrato miliardi di euro e potere infinito. Gli scontri fra esponenti dell’establishment non sono mai stati all’ultimo sangue allo sconfitto (in politica come in finanza) si lasciava sempre una via d’uscita onorevole o ben remunerata perché il gioco potesse continuare senza nessuno che rovesciasse il tavolo. Il gioco non era interrompere la spirale debito-spesa-debito ma governarne il flusso, avere alternativamente le leve di comando per consolidare il proprio status all’interno dell’establishment.

LA CRISI. Quando la crisi del debito si è manifestata nel 2008 politici e banchieri non hanno pensato neanche per un momento di fare un discorso onesto alle proprie nazioni, nessuno ha detto che almeno per un quindicennio il mondo occidentale aveva vissuto al di sopra delle proprie possibilità e che avevamo di fronte anni di crisi economica. Si è preferito aumentare ancora di più il debito stampando nuovo denaro: in due anni la base monetaria europea è aumentata del 35 per cento e quella americana del 120 per cento, il debito pubblico delle nazioni è esploso e nel 2011 in quasi tutte arriverà a più del 100 per cento del Pil.

È come tentare di disintossicarsi dalla droga assumendo dosi crescenti, la sensazione è di momentaneo benessere ma il paziente prima o poi muore. E la Grecia è morta, debito su debito, e per uscire dalla crisi pretende di aumentare ancora il debito con un prestito ad alti tassi concesso dall’Europa. L’establishment della bolla aveva proposto al mercato la solita cura: debito che finanzia debito finanziato dal debito dei paesi membri dell’Unione europea. Il mercato non ci ha creduto, ha chiesto garanzie reali, impegni precisi a intervenire con iniezioni di capitale disinteressate, come farebbe un governo con un suo ente locale, ma l’establishment cresciuto insieme nella bolla questa volta si è diviso.

L’EUROPA. I tedeschi hanno capito il pericolo di dover diventare il sovvenzionatore dell’Europa e hanno scaricato gli altri per non dover affrontare un’opinione pubblica sempre più infuriata dal tenore di vita irrealistico dei Paesi vicini. Il resto del gotha finanziario europeo è ora in preda ad una crisi di panico, non sa più cosa fare e cosa dire perché sa bene che la seconda bolla, quella creata dal 2008, si sta avvicinando pericolosamente all’esplosione.

La Banca centrale europea è praticamente scomparsa nelle ultime ore di mercato di questa settimana, il presidente del Financial Stability Board non ha detto una parola sul pericolo di contaminazione di un collasso finanziario di Grecia e Portogallo, attendono tutti un colpo di fortuna qualcosa che faccia cambiare idea ai mercati o ai colleghi dell’establishment tedesco. Speranza alimentata dalle dichiarazioni della Merkel: “Interverremo solo se serve a salvare l’euro”. Troppo poco e troppo tardi di fronte a un mercato che chiede soldi subito.

Il ministro delle Finanze italiano chiede di “non lasciar bruciare la casa del vicino per evitare che prenda fuoco la propria”, non ha però commentato le previsioni di crescita dell’Italia per gli anni 2011 e 2012 rilasciate dal Fondo monetario internazionale: 1,2 per cento contro il 2 per cento delle stime del governo. Questo richiederebbe una manovra da 72 miliardi di euro in tre anni per centrare gli obiettivi che abbiamo comunicato agli investitori. Un bel dilemma per un professore universitario di Sondrio mal tollerato dall’establishment: dire la verità smascherando il gioco o sfidare la sorte aumentando ancora il debito?

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