Se i finanziamenti non arriveranno entro il 19 maggio, sarà il tracollo
di Alfredo Faieta
Come fosse un’economia africana o sudamericana di quelle in mano a dittatori senza scrupoli, la Grecia del disastro economico e finanziario che rischiava di contagiare i più deboli tra i paesi dell’area euro, ha dovuto piegarsi alle cure del Fondo monetario internazionale e dell’Unione europea e chiedere ufficialmente un finanziamento che tamponerà le ferite del bilancio statale che fa acqua da tutte le parti.
LA RICHIESTA. La cifra chiesta è pari a 45 miliardi di euro, tasso di rendimento fissato al 5 per cento, e anche i più riluttanti tra i paesi europei, Germania in testa, probabilmente faranno la loro parte per evitare che l’instabilità sui mercati finanziari non diventi a un certo punto ingovernabile. Il tempo stringe ad Atene: il 19 di maggio è in scadenza un pacchetto di titoli del debito statale, l’equivalente dei nostri Btp, per 8,5 miliardi di euro e devono essere assolutamente rifinanziati pena la bancarotta, o il default per usare un termine anglosassone molto in voga adesso. Per intendersi, la Grecia verrebbe a trovarsi nella stessa situazione nella quale è naufragata l’Argentina nel 2002, e non è un caso se il primo ministro George Papandreou ha parlato di “nuova Odissea” per lo Stato, nell’annunciare ai cittadini dall’isola di Kastelòrizo nel Dodecanneso la richiesta ufficiale di aiuti, dopo la missione degli economisti del Fondo. Stupisce un po’, in realtà, la calma apparente con la quale il premier e il ministro delle Finanze George Papaconstantinou abbiano affrontato le cifre del disastro nelle ultime 72 ore, col deficit greco del 2009 rivisto dall’Eurostat al rialzo (per la terza volta in poco tempo) al 13,6 per cento del Prodotto interno lordo (Pil), cifra mai vista da quando esiste la moneta unica, e i tassi sui titoli del tesoro con scadenza a dieci anni, una cartina da tornasole piuttosto precisa dello stato delle finanze pubbliche, schizzati al 9 per cento circa, ben sei punti percentuali sopra agli equivalenti tedeschi. Ma è probabile che gli scioperi e gli scontri di cui è preda il Paese abbiano consigliato un certo self control, per evitare una deriva difficilmente governabile dalle forze di ordine pubblico.
In questa situazione la conta finale dei paesi membri dell’area euro che aderiranno arriverà certamente prima del 19, e se anche il pacchetto di aiuti finanziari chiesto non dovesse essere erogato subito, le garanzie date sarebbero utili per attivare un prestito ponte di brevissimo periodo (magari erogato dalla Bce o dallo stesso fondo monetario) per tamponare la situazione.
LA BORSA. Ieri i mercati di Borsa europei hanno chiuso in positivo e anche la Borsa di Atene ha evitato l’ennesimo crollo, fermando le contrattazioni intorno alla parità. Nei giorni precedenti la volatilità era schizzata e si viaggiava sulle montagne russe, con crolli repentini degli indici. Ma sono altri i segnali che si attendono ora, perché negli ultimi giorni i sintomi della malattia finanziaria di cui soffre il paese guidato dal socialista Papandreou si erano ulteriormente acuiti, e la paura del tracollo stava contagiando gli altri Paesi deboli dell’Unione, Portogallo in testa ma non solo. Irlanda, Spagna e anche l’Italia, con il terzo debito pubblico al mondo, non sono porti sicuri. Preoccupato e cosciente di questo il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha dichiarato che “è arrivato il momento in Europa in cui i Paesi grandi devono dimostrare di esserlo, di avere una visione dell’interesse comune anche nell’interesse specifico dei Paesi più ricchi e più fortunati”. Anche la Banca mondiale sta seguendo da vicino gli sviluppi greci, poiché teme possibili implicazioni nel commercio e nel settore bancario dei paesi vicini. “Stiamo monitorando la situazione” ha spiegato ieri il vicepresidente della Banca Philippe le Houerou, “perché ci sono importanti legami con un certo numero di paesi dei Balcani, attraverso diversi canali”.
L’OBIETTIVO. Il prossimo passo è raffreddare i rendimenti sui titoli del debito decennali, che fino a ieri mattina, prima dell’annuncio, avevano continuato a salire oltre il 9 per cento, e la differenza con i Bund tedeschi decennali aveva quasi raggiunto il 6,5 per cento. I titoli greci cioè pagano un interesse triplo rispetto a quelli tedeschi, e se l’obiettivo principale è riportare il debito pubblico su un livello più sostenibile, pagare quegli interessi annuali rende l’esercizio maledettamente difficile per un’economia fragile come quella del paese ellenico. Per non parlare del costo che gli operatori sui mercati finanziari devono sopportare se vogliono assicurarsi contro la bancarotta del paese, misurato da una sorta di titolo il cui nome in inglese è Credit default swap, che avevano passato quota 640 punti. Un vero record per l’Europa, e la consapevolezza degli operatori finanziari dell’inaffidabilità delle finanze greche, perché quel numero molto guardato e usato dagli operatori finanziari è una misura esatta di quanto fidarsi di uno Stato. La misura italiana è di circa 140, per fare un raffronto, e solo quando il punteggio greco inizierà a diminuire torneranno gli acquisti sui titoli di Stato ellenici, e con essi qualche sprazzo di luce sulle prospettive a medio termine del Paese.
C’è da chiedersi, però perché il governo non si è mosso prima, cieco di fronte ai segnali che mondo finanziario e le case di rating con i loro voti sulla sostenibilità economica inviavano. Su questo il governo ellenico probabilmente dovrà rispondere nei prossimi mesi.
Nessun commento:
Posta un commento