martedì 27 aprile 2010

L'economia delle concessioni


26 Aprile 2010

Oggi a Villa Gernetto, a Lesmo, in una delle tante ville di Berlusconi, Maria Stella Gelmini, Paolo Bonaiuti, Guido Bertolaso, l'Amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni, l'Ad dell'Enel, Fulvio Conti, Marco Tronchetti Provera della Pirelli e una folta delegazione al seguito di Putin hanno parlato di come far fare soldi ad una manciata di aziende.

Quelle che vivono di concessioni statali e di cui non mi stupirei se qualche sodale di Berlusconi detenesse consistenti pacchetti azionari.

Sul tavolo del negoziato gasdotti, accordi tra Eni, Enel, Gazprom, sinergie nucleari e perfino la costruzione in Russia di centrali atomiche, a firma tricolore. Noi che di tecnologia nucleare ne sappiamo quanto delle abitudini degli orsi polari durante le aurore boreali parliamo di questo.

L’imprenditoria italiana non è quella rappresentata da questo comitato d’affari privati. Il tessuto economico portante del Paese non è fatto da poche decine di realtà che vivono intubate alle concessioni di Stato e che plaudono in Confindustria a chiunque garantisca loro la sopravvivenza di tali privilegi. L’ossatura del nostro sistema economico è fatta soprattutto da medie, piccole e piccolissime realtà imprenditoriali strette oggi nella morsa della crisi che in questo primo quarto del 2010 non accenna ad allentare la presa. Gli imprenditori chiedono alla politica coerenza e senso di responsabilità per affrontare problemi urgenti delle aziende.

Le istanze raccolte sul territorio dovrebbero suggerire alle istituzioni l’urgenza di spezzare il binomio di Stato-ladrone che questo governo ha contribuito a consolidare nell’immaginario collettivo soffiando pericolosamente sul fuoco dell’evasione fiscale.

L’Italia dei Valori nel 2008 ha iniziato un costruttivo dialogo con i lavoratori, i precari, i cassintegrati, ma ritiene indispensabile aprire un canale di ascolto e di proposta sul territorio anche nei confronti degli imprenditori per comprendere i problemi dell’occupazione e proporre soluzioni concrete che uniscano più che dividere lavoratori e imprenditori.

La disoccupazione è il manifestarsi di una malattia conclamata. Comprendere come aiutare gli imprenditori a produrre nel Paese, come supportarli in periodi di crisi significa prevenirne il manifestarsi e l’insorgere del cancro del sistema produttivo.

Le aziende oggi chiudono in Italia e riaprono in Cina e Romania, e se è vero che molte lo fanno inseguendo semplicemente la logica del maggior profitto altrettante sono costrette a delocalizzare perché in alternativa chiuderebbero i battenti e basta.

La partita politica dei prossimi tre anni si giocherà esclusivamente sul rilancio dell’economia reale, delle piccole e medie aziende e non sull’aumento esponenziale di profitti per pseudo-colossi statali e parastatali che erogano beni di prima necessità come energia, acqua, telecomunicazioni, infrastrutture. L’urgenza è il rilancio della struttura sana fondamento del Pil e non l’aumento dei profitti, già da capogiro, ottenuti con bollette, pedaggi e canoni in incessante aumento che deprimono la capacità di spesa degli italiani.

Gli imprenditori che hanno delocalizzato la produzione all’estero dovrebbero comprendere che la causa della loro fuga (nei casi in cui non sia avvenuta per meri vantaggi economici) è questo governo.

Il governo del centrodestra favorisce il clientelismo contro la libera concorrenza, offre vantaggi ai criminali che evadono le tasse (e dunque supporta minori costi d’impresa) porgendo loro lo scudo fiscale. Questo esecutivo investe capitali e risorse in opere inutili e in regate marittime, invece di incentivare la ricerca nelle aziende e la produzione locale, promuove senza sosta il presidenzialismo per garantire una nuova poltrona a Berlusconi. Mentre il Governo invece di ridurre la pressione fiscale che strangola l’imprenditoria onesta, pensa ad una riforma della giustizia per consentire l’impunità alla Casta.

L’Italia del Pdl è un'Italia a zero imprenditoria, con pochi amici immensamente ricchi, una moltitudine di affaristi che vivono intorno a loro e una popolazione di indigenti. Insomma è il tipico modello dei Paesi con governi illiberali e sull’orlo della dittatura.

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