martedì 27 aprile 2010

NUOVO CINEMA QUIRINALE





Il messaggio del premier rivela anche attraverso le immagini le ambizioni da capo dello Stato

di Luca Telese

Va in onda il Nuovo Cinema Quirinale: nuova trama, nuovo messaggio, un nuovo set adatto a raccontarlo che pare fotocopiato da quello del messaggio di fine anno del capo dello Stato. Va in onda un Silvio Berlusconi splendidamente taroccato, per sembrare, fin da oggi, quello che vuole essere domani.

Una nuova confezione. Ancora una volta, trattandosi del più grande “venditore” della politica italiana, più di quello che dice (l’ennesima apertura sulle riforme, a cui potrebbe seguire l’ennesima chiusura sulle riforme) conta come lo dice. Più del prodotto conta la scatola. Più della sostanza apparente, la rappresentazione reale, e quel che sottintende. Insomma, domenica abbiamo visto e ascoltato un Berlusconi che parlava per immagini più che per preposizioni, che assumeva tonalità quirinalizie più per scelta cromatica che per contenuti politici.

1994, la finta libreria. Fateci caso. Fino a domenica Berlusconi aveva sempre interpretato l’iconografia delle istituzioni (e della politica) a modo suo. Si sono scritti interi capitoli sul famoso discorso della discesa in campo, meglio noto come il “messaggio della calza”. E il bello è che la calza non c’era. Me lo raccontò Roberto Gasparotti che oggi è il massimo cerimoniere del berlusconismo a Palazzo Chigi, e che allora era solo il fidato operatore che faceva le riprese. E lui, il braccio destro del Cavaliere, al margine di un vertice a Napoli spiegò sorridendo: “Ma quale calza! Eravamo molto più sofisticati: figuriamoci se avevamo bisogno del nylon, un trucchetto da preistoria televisiva, per dare colore all’immagine del presidente”. Sicuramente è vero. Ogni singolo elemento di quel messaggio, dai colori pastello alla finta libreria che fu inquadrata alle spalle di Berlusconi era costruito per comunicare un messaggio: in primo luogo l’estraneità assoluta ai codici della politica che gli italiani avevano conosciuto.

L’imprenditore venuto dalla “trincea della vita”, si presentava piuttosto come patriarca informale della nazione, un padre che lancia dal suo studio il grido di battaglia contro la Casta. “Noi – aveva detto nel famoso discorso di Casalecchio di Reno in cui invitava a votare Fini – non abbiamo nulla a che fare con la destra e con la sinistra” (Sic!).

Anche nei comizi in pubblico del 1994 la liturgia viene riscritta: cieli azzurrini, nuvole, il logo di Forza Italia anomalo rispetto alle simbologie della Prima Repubblica, al punto di essere progettato al di fuori del simbolo circolare, e solo successivamente riadattato per stare negli standard della legge elettorale. Niente podi: un microfono in mano da chansonnier, più che un altare da leader tradizionale. 2001-2006, set di governo.

Il Berlusconi che torna per la seconda volta al governo, nel 2001, si ripropone il problema della sua immagine. Non può più apparire come un outsider, ma nemmeno farsi digerire dal Palazzo come uno dei tanti. La soluzione è cambiare il campo da gioco. Nasce una residenza informale, “Palazzo Grazioli”, che diventa un toponimo della politica, anche se ufficialmente è una abitazione domestica. Nasce uno spazio di diplomazia informale - Villa Certosa - che molto prima delle feste di Papi e degli attributi di Topolanek, viene trasformato per decreto in “luogo di interesse per la sicurezza nazionale”.

Nascono una nuova sala stampa di Palazzo Chigi, un nuovo fondale neoclassico, un teatro e persino un logo presidenziale su modello di quello americano. Berlusconi non è nell’iconografia delle istituzioni, le modella secondo le sue esigenze.

2010, il Colle “taroccato”. Ecco perché, quello che può sembrare scontato non lo è: dopo il passaggio antipolitico del predellino, per la prima volta, il Cavaliere sceglie di mostrarci un nuovo set: si presenta con una scrivania istituzionale, una panoplia di bandiere, drappi e tendaggi. Televisivamente parlando, lui sul Colle - anche se è un Quirinale clonato - ci si sente già.

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