lunedì 19 aprile 2010

Pdl, Berlusconi mette Bocchino sotto accusa


UGO MAGRI

Vittima sacrificale cercasi. Qualcuno su cui scaricare la colpe dello psicodramma che il Popolo delle libertà sta vivendo, una testa da far rotolare sull’altare della tregua tra Berlusconi e Fini, ancora parecchio lontana (ma i mediatori non si arrendono). Quel qualcuno con cui prendersela somiglia tanto a Bocchino, vicecapogruppo Pdl alla Camera. I «berluscones» furibondi lo additano quale istigatore di Fini, lui insieme ai Granata, agli Urso, ai Briguglio che ancora insistono per rompere col tiranno Berlusconi, e apertamente rimpiangono Alleanza nazionale, quanto sarebbe bello rifarla daccapo... Nel caso di Bocchino, però, è imbufalito il Cavaliere personalmente: telefonate notturne a Verdini, a Cicchitto e non si sa a quanti altri dopo lo scontro televisivo l’altra sera su RaiDue, che ha visto da una parte il giovane «guappo» finiano, dall’altra il ciellino Lupi, uno che piace al premier perché sempre così sicuro di sé.

«Assurdo litigare in pubblico tra di noi», ha sbraitato Berlusconi. Pare solleciti provvedimenti disciplinari, interventi dei probiviri anche nei confronti di Urso (presente alla trasmissione) e Granata (sguaiato con Schifani). i coordinatori nazionali se ne stanno occupando, La Russa frena perché «in questo clima» incendiario ci mancherebbe solo di buttar fuori qualcuno. Ma che Bocchino resti a fare il numero due del gruppo alla Camera, questo sembra più difficile. Se tregua sarà, prima vedremo scorrere il sangue. Berlusconi, ad esempio, non ne può più della Bongiorno alla guida della Commissione giustizia a Montecitorio, considera l’avvocatessa un freno ai suoi progetti, vorrebbe sbarazzarsene. A sua volta Fini insiste per rimettere mano agli organigrammi di partito e di governo, dove si reputa sottostimato.

Servirebbe una bilancia, ed eccola pronta, giovedì prossimo in Direzione nazionale: 170 dignitari Pdl, di cui 120 eletti dal congresso e gli altri lì a vario titolo, convocati alle 10 del mattino nell’Auditorium a due passi dal Cupolone per pesare i duellanti. Fini svestirà l’abito istituzionale di terza carica dello Stato e presenterà un documento da mettere ai voti, con le sue critiche al Cavaliere in bella mostra. La bozza verrà presentata con, sotto, le firme di tutti i parlamentari amici: 14 senatori (già si sono esposti pubblicamente) e un numero ancora misterioso di deputati. Dall’altra parte confermano che pure loro presenteranno un testo, si presume di adorazione del premier. Avremo dunque una maggioranza e una minoranza, svolta gravida di conseguenze politiche imprevedibili per l’Italia, poiché nel nome della democrazia interna il «movimento del predellino» finirà nella tomba, e in sua vece nascerà un partito stile Prima Repubblica, correntismo compreso.

Sarà l’anticamera della scissione, quella vera? E Berlusconi, accetterà di tenersi in casa degli oppositori dichiarati? Si annuncia un salto nel buio. Che molti tra gli ex di An eviterebbero volentieri, un po’ per non finire in castigo con Fini, un altro po’ perché in ansia sulla sorte del Pdl. Dal Campidoglio giunge voce che oggi vedremo scendere in campo Alemanno, il sindaco di Roma, con un terzo documento da mettere ai voti. Di mediazione tra gli altri due. Proporrà di affrontare ad uno ad uno e con calma i temi sollevati da Fini, dedicando a ciascuno una riunione di direzione. Matteoli è d’accordo, Augello pure, così la Meloni, certo la Polverini. Contrarissimi i pasdaran di entrambi gli schieramenti, convinti che sia il caso di farla finita: due galli nel pollaio non possono coabitare, uno è di troppo.

Qualche ruolo l’avrà Bossi quando, oggi o domani, vedrà il Cavaliere. Spingerà per la pace con Fini che, scommette il Senatùr, se vuol contare «avrà bisogno della Lega». Così pure Berlusconi. Il quale, confida Bossi allo spagnolo «El Pais», andrebbe volentieri al Quirinale. La conferma è autorevole. Ma c’eravamo arrivati da soli.

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