domenica 11 aprile 2010

PROFONDO MARRAZZO


La storia di quella notte maledetta che ha sconvolto le vite di troppe persone

Alle 10,36 del 3 luglio 2009 Piero Marrazzo ancora non lo sa, ma sta per infilarsi nel tritacarne che di lì a tre mesi distruggerà la sua vita. Prende il telefonino e chiama Natalì. “Sei libera? Passo a trovarti”. Eppure poco prima era in casa di Paloma, un altro trans meno giovane e attraente, ma che negli ultimi mesi incontra spesso. La va a trovare di prima mattina, fa un salto in ufficio, poi telefona a Natalì. In preda alla frenesia che negli ultimi tempi sembra essersi impossessata di lui, forse ha deciso di sottrarsi per qualche ora all’ansia che l’attanaglia, alla voracità delle cliniche private, al declino politico cui sembra destinato. Dai tabulati telefonici emerge tutta la sua inquietudine. Il governatore dorme poco o niente, va in giro di notte, si rifugia nei “suoi luoghi oscuri”, sfida il destino salendo sui taxi, cammina impavido per la strada, punta agli anonimi condomini della Cassia dove ad attenderlo ci sono strane creature levigate e muscolose, belle e impossibili, tacchi 12 impiantati su scarpe numero 45, costrette come lui a mascherarsi nel carnevale della vita. Ma con cui è facile parlare, magari steso in una vasca da bagno o avvolto nell’accappatoio conservato nell’armadio.

Quando esce dall’appartamento di Paloma ha in tasca cinquemila euro in contanti. Non sappiamo quanti ne avesse prima. In più di un interrogatorio il trans ha raccontato ai pm Capaldo e Sabelli di essere stato ricevuto da Marrazzo anche negli uffici delle Regione e di aver percepito per le sue prestazioni cifre iperboliche (fino a 17 mila euro). Ma non è in grado di descrivere gli ambienti e gli inquirenti la considerano poco attendibile. Non è l’unica, quasi tutti i protagonisti dell’affaire mentono, a cominciare da Piero Marrazzo. Solo grazie alle perizie sui tabulati telefonici, è stato possibile ricostruire frammenti di verità: quel doppio incontro in casa di trans dove Marrazzo si reca con migliaia di euro in tasca. Non bastano le prestazioni sessuali a giustificare l’entità della cifra. E neppure la cocaina, quattro strisce non superano il valore di 200 euro. Sono le 12,30 quando Marrazzo approda, a bordo della sua auto di servizio, nei pressi di via Gradoli 96, il palazzo più famoso d’Italia. Nel 1978 ospitava il quartier generale delle Br durante il sequestro Moro. Il 18 aprile, quando arrivarono i vigili del fuoco, Mario Moretti e Barbara Balzerani erano appena usciti. Lei aveva dimenticato la doccia aperta. Una messinscena? Forse. Come quella che si svolgerà tra poco. In auto Marrazzo sfoglia distrattamente i giornali, ancora pieni di notizie sugli scandali sessuali del premier. Noemi e Patty D’Addario, papponi pugliesi ed escort napoletane. Ma è distratto, non immagina che toccherà a lui riabilitare il premier, restituirgli l’onore del macho, far scomparire le feste di compleanno, il lettone di Putin, la cocaina di Bari, la fabbrica di farfalline. Neppure immagina che Berlusconi gli sarà così riconoscente da telefonargli e, come in un film di gangster, sussurargli: “Non ti preoccupare”. Scende dall’auto, fa qualche passo a piedi, non si accorge che il tritacarne è già in funzione. Alle sue spalle sono appostati Luciano Simeone e Carlo Tagliente. I carabinieri prendono la targa, telefonano per accertarne la proprietà, il database dimostra che l’accertamento è venuto prima e non dopo l’irruzione in casa di Natalì che in quel momento ha già riempito la vasca da bagno. Cade il tassello del “blitz occasionale”, naufraga anche la versione che il trans ripete come un disco rotto: “Mai fatto uso di droga in casa mia, Cafasso lo conosco soltanto di vista”. Non è vero. Il traffico telefonico dimostra Natalì ha avvertito Cafasso, che a sua volta ha chiamato Simeone e Tagliente. Tutto previsto, tutto preordinato. Anche se il ruolo del pusher al momento si esaurisce qui. Non è stato lui a portare la droga, non è stato lui a girare il filmato, comparirà soltanto un mese dopo nella trattativa con le giornaliste di Libero cui propone l’acquisto del filmino tagliuzzato. Scelta mortale.

Alle 13,45 i carabinieri suonano alla porta. Marrazzo è in mutande, stordito, umiliato. “Presidente cosa fa?”. Tutto tristemente noto, ma i fatti che seguono smentiscono la prima versione. Ad esempio il ruolo del maresciallo Testini, oggi accusato dai pm di aver ucciso Cafasso. Alle 14 Simeone gli telefona dal pianerottolo, quando rientra l’appuntato accetta gli assegni per 20 mila euro che Marrazzo consegna in cambio del silenzio. Per i pm è la prova regina: anche da lontano Testini gestisce la situazione. Quel giorno il maresciallo è nella sua casa ad Adelfia - la stessa dove lo hanno arrestato il 27 marzo scorso -, ha chiesto il distacco per stare accanto alla moglie incinta di due gemelli. Una moglie tosta che fa l’avvocato a Bari e milita nel Pd. “Spiegatemi cosa significa”, grida ai colleghi che lo vanno a prendere. Ma con i giornalisti si mostra tranquilla: “Non mi credete, ma siamo persone perbene”.

La foto di Testini è scomparsa, ma chi lo conosce dice che ha una faccia tonda, da bravo ragazzo. Forse, come Marrazzo, anche lui ha una doppia vita. Lo strano legame con Cafasso, e quella Jois, il trans che va in giro a raccontare di essere la sua “fidanzata”. E poi le rapine, i pestaggi, le estorsioni. Un film mai visto che domani sarà nuovamente proiettato nell’aula del Riesame dove il maresciallo si trova a fare i conti con un’accusa da ergastolo: omicidio volontario, premeditato, aggravato dall’uso di sostanze venefiche. Alla fine nel tritacarne c’è caduto anche lui. A dare battaglia saranno gli avvocati Spigarelli e Lo Faro e l’ex colonnello Iannone, del Ris di Parma, perito di parte. Carabinieri contro carabinieri. Nessuno immagina come andrà a finire.

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