domenica 11 aprile 2010

UNA FRATTURA NON CURATA UCCISE STEFANO CUCCHI


La perizia di parte: la lesione provocata da un calcio innescò un processo che lo condusse alla morte
di Silvia D’Onghia

Se non ci fosse stata la frattura della terza vertebra lombare e se quella frattura fosse stata curata, pur in presenza di un quadro molto compromesso, Stefano Cucchi non sarebbe morto. Non hanno dubbi i consulenti della famiglia, che domani depositeranno in Procura la perizia di parte relativa al decesso del geometra romano. La frattura era recente (non pregressa, come affermato invece qualche giorno fa dai consulenti della Procura), anzi, riconducibile ad un arco temporale preciso: quello che va dalle 13 alle 14,05 del 16 ottobre 2009, ovvero le ore in cui Stefano Cucchi si trovava in Tribunale per la direttissima conseguente al suo arresto per droga. Lo si evince dalla netta linea di separazione tra le due parti della vertebra, dal fatto che non era in corso alcun fenomeno riparativo (contrariamente a quanto riscontrato dall’altra perizia, che evidenziava invece un inizio di callo osseo) e dagli ematomi a livello dei muscoli che sorreggono le vertebre. Lo stesso arco temporale, secondo i professori Vittorio Fineschi, Cristoforo Pomara e Giuseppe Guglielmi, sarebbe indicato per le tumefazioni intorno agli occhi, dovute - è ipotizzabile - a pugni. “La morte è addebitabile ad un quadro di edema polmonare acuto in soggetto politraumatizzato ed immobilizzato, affetto da insufficienza di circolo sostenuta da una condizione di progressiva insufficienza cardiaca su base aritmica, intimamente correlata all’evento traumatico occorso e al progressivo scadimento delle condizioni generali del Cucchi”, si legge nella relazione. Ovvero: il ragazzo è morto per un’infiltrazione di liquido nei polmoni, poichè il cuore bradicardico (appena 45 battiti al minuto) non riusciva più a pompare in maniera corretta.

Eppure il cuore di Stefano, al momento del suo ingresso nel reparto detentivo dell’ospedale Pertini, era “perfettamente sano”: lo si evince dai “controlli clinici frequenti”, che “non rilevano mai una patologia funzionale, nè tantomeno cardiaca”, e dall’esame macroscopico, che evidenzia un organo “anatomicamente normale”. Cosa è accaduto allora al cuore di Cucchi? A fronte delle poche “indagini di monitoraggio effettuate” dopo il ricovero, i periti ricordano che “la bradicardia come risposta a stimoli traumatici è stata ben descritta in casi di danni oculari, danni alle corna spinali, in caso di shock ipovolemico, emotorace spontaneo e traumi addominali”. “Nel caso di Cucchi – si legge ancora nel documento – il trauma lombare esercita un significativo effetto sulla funzione nervosa vagale, che non compare immediatamente ma si estrinseca in maniera subdola a seguito del danno traumatico”.

Proviamo a capire cosa significano, in pratica, i termini medici. La terza vertebra lombare (oltre alla quarta sacrale) di Stefano Cucchi si è fratturata in seguito ad un trauma - presumibilmente un calcio, sempre secondo gli esperti - e quella lesione ha provocato una bradicardia, oltre all’impossibilità di camminare (il ragazzo era costretto a letto, in una posizione particolare, con dolori lancinanti). Fin qui le colpe di chi lo ha avuto in custodia fino alle 14,05 del 16 ottobre: tre agenti della polizia penitenziaria, secondo i pubblici ministeri Barba e Loy.

Poi entrano in ballo i medici del Pertini (sei gli indagati), le cui responsabilità - dicono tutte le perizie, compresa quella della commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale - sono gravissime. Il trauma lombare, secondo i consulenti della famiglia, provoca in Stefano anche l’impossibilità di urinare (per quanto le funzioni renali fossero invariate), tanto che “per scongiurare il rischio di una vescica neurologica tipica dei traumi spinali”, gli viene subito inserito un catetere. Al momento dell’autopsia, nella vescica del ragazzo ci sono 1300 centilitri di urina, (quasi quanta ne produce una persona in un giorno intero) segno di un catetere posizionato male. In tutto questo si inserisce un “grave quadro di alterazioni metaboliche” che “peggioravano il quadro di bradicardia ed ipotensione”. Fino a quando il cuore non ha più retto. E in tutto questo, la condotta dei medici “appare viziata da gravi elementi di negligenza, imperizia e imprudenza tanto nelle fasi diagnostiche quanto nelle più elementari regole di accortezza del monitoraggio clinico e strumentale, oltre che nell’assistenza stessa”. Prima di essere arrestato, Stefano era un ragazzo sottopeso, ma sano. Qualcuno lo ha picchiato, innescando un processo che si sarebbe potuto arrestare se il ragazzo fosse stato curato, ma che invece ne ha provocato la morte. Stefano si è spento, da solo, in un letto d’ospedale, mentre la sua famiglia chiedeva senza interruzione di poterlo vedere. Così come adesso chiede, con la stessa tenacia, che emerga la verità.

2 commenti:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

AGGHIACCIANTE!

Anonimo ha detto...


Un bel manipolo di ASSASSINI!
Madda