venerdì 28 maggio 2010

L’uomo dei servizi al centro del giallo


SPATUZZA E CIANCIMINO DICONO DI AVER RICONOSCIUTO LORENZO NARRACCI

di Marco Lillo

Sono le altre entità delle quali parla il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso quando descrive i mandanti esterni a Cosa Nostra per le stragi. Dietro le bombe del 1992-1993 oltre all’interesse per una nuova forza politica, c’era anche la spinta di apparati dello stato deviati. Gli uffici giudiziari di Caltanissetta e Palermo continuano a sfornare novità, che riguardano proprio questa pista, quella più inquietante, perché porta al cuore dei servizi. Da più di venti anni si discute del ruolo avuto dalla nostra intelligence nel disegno di destabilizzazione del paese attuato con il tritolo e il sangue in Sicilia e nel continente dal 1992 al 1994.

Non si tratta solo di dietrologie da giornalisti “pistaroli”. Il primo a parlarne fu Giovanni Falcone. All’indomani dell’attentato subito sugli scogli dell’Addaura già nel 1989 confidò a Giuseppe Ayala il sospetto su un coinvolgimento dei servizi. Tutte le indagini sui mandanti sono piene di suggestioni mai arrivate a costituire una vera prova da esibire in corte d’assise. Per sostenere una simile ipotesi accusatoria d’altronde bisogna avere in mano elementi granitici.

Le ultime scoperte delle inchieste parallele di Palermo e Caltanissetta sulla trattativa e sulle stragi sono due fotografie. La prima raffigura un funzionario dei servizi segreti di alto grado, recentemente promosso, che il pentito Gaspare Spatuzza ha indicato con molti dubbi e distinguo come somigliante a una persona, esterna a Cosa nostra, presente in una fase preparatoria della strage di via D’Amelio. La seconda foto è stata scattata in una manifestazione mondana romana di qualche anno fa nella quale era presente, insieme a un paio di vip, anche quell’uomo che Massimo Ciancimino ha indicato come “il signor Franco”, il presunto terminale dei servizi nella trattativa a cavallo delle stragi.

La seconda foto è stata pubblicata per poche ore ieri dal sito de La Repubblica dando vita a un giallo, come spieghiamo nel box a sinistra. Ma in realtà, delle due istantanee, quella alla quale gli investigatori sono più interessati è la prima. Secondo il pentito Spatuzza una persona somigliante all’uomo della foto sarebbe stata presente durante la preparazione della Fiat 126 imbottita di tritolo per uccidere Borsellino. Anche Ciancimino ha indicato lo stesso ritratto perché somigliante all’uomo legato ai servizi che talvolta aveva visto insieme al “signor Franco”.

Il funzionario ritratto nella fotografia mostrata dagli inquirenti a Spatuzza e Ciancimino, secondo quanto risulta a Il Fatto Quotidiano è Lorenzo Narracci. Prima di spiegare chi sia è bene precisare che la sua professione è stata già svelata in precedenti articoli quando se ne parlò (senza che fosse indagato) per le indagini di Palermo su via D’Amelio e Capaci. Il fatto che rispunti ora tra le foto indicate da Spatuzza (che sono più di una e quindi non solo la sua) e da Ciancimino non deve essere preso come un indizio a suo carico. In questo mondo pieno di ombre nulla è come sembra. Anzi. Ma chi è Lorenzo Narracci? All’epoca della strage di via D’Amelio era un agente del Sisde di Palermo, amico di Bruno Contrada, funzionario chiave del servizio in Sicilia, arrestato per concorso esterno con la mafia il 24 dicembre del 1992, cinque mesi dopo la strage di via D’Amelio, sei mesi dopo le rivelazioni del pentito Gaspare Mutolo su Contrada a Borsellino.

Nel processo Contrada, al quale Lorenzo Narracci ha partecipato come teste della difesa, si ricostruì il suo rapporto con l’imputato. Narracci era nella squadra per la caccia ai latitanti (che secondo i giudici non produsse grandi risultati) ed era un uomo talmente fidato che quando Contrada doveva consegnare una lettera delicata al giudice Falcone, la affidava al postino Narracci.

Il giorno della strage di via D’Amelio, Narracci era su una barca con Contrada e altri amici e sempre con Contrada giunse sul luogo del delitto. Inoltre Narracci fu attenzionato anche per altre due coincidenze: un appunto con il suo numero di telefonino trovato sulla collina dalla quale Giovanni Brusca spinse il pulsante del telecomando della strage di Capaci ed era sempre lui il funzionario dei servizi titolare di un’automobile posteggiata in via Ruggero Fauro a Roma, luogo dell’attentato a Maurizio Costanzo. Narracci abitava lì mentre l’appunto era stato perso da un suo collega.

Ora che Narracci rientra nel girone dei mille sospetti, proprio quel bigliettino di Capaci deve far pensare. C’era scritto Nec P300 portare in assistenza e si indicava il nome di una società dei servizi di Roma. Si trattava di un modello di cellulare noto per la facilità di clonazione e non a caso alcuni Nec p300 furono trovati nel covo degli autori dell’attentato a Falcone. Alcuni investigatori ipotizzarono allora che quel bigliettino potesse essere letto al contrario: come la prova di un tentativo di depistaggio. Ecco perché la pista del riconoscimento di Spatuzza va presa con le pinze. Il pentito aveva già parlato all’inizio della collaborazione di un uomo, non appartenente a Cosa nostra, presente nel garage nel quale si imbottiva di tritolo la Fiat 126. Ma aveva aggiunto di avere abbassato lo sguardo di fronte a lui. Ora che Spatuzza si è convinto della volontà dei pm di andare in fondo, come nel caso dei riferimenti a Dell’Utri e Berlusconi, aggiunge nuovi particolari.

Prima però di mettere all’indice un funzionario dello Stato che potrebbe essere semplicemente somigliante a qualcun altro o addirittura vittima di un depistaggio, i pm procederanno a tutte le verifiche del caso. Stiamo parlando di un riconoscimento su carta a distanza di 20 anni. E c’è da augurarsi che lo scenario peggiore non sia vero. Anche perché sarebbe da brividi: una parte dei servizi avrebbe partecipato addirittura alla realizzazione della strage di via D’Amelio. Un’ipotesi difficile anche solo da pensare. Più ancora da provare.

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