sabato 29 maggio 2010

SE CHI COMBATTE LA MAFIA NON HA PIÙ LA SCORTA


IL PROCURATORE LARI, MINACCIATO, INDICA IL CASO DEL COLLEGA DI LEO, AL FRONTE E SENZA TUTELE

di Sandra Amurri

La sua foto sbarrata con una croce. Una pallottola calibro 7,65. E una lettera: “Dai a vedere che non hai paura poi te la fai nelle mutande”. Il destinatario è Sergio Lari, procuratore capo di Caltanissetta. Un magistrato che lavora con rigore e in silenzio. “La prova che le tante notizie apparse sui giornali non siano uscite dalla Procura di Caltanissetta sta nel fatto che non sono vere” è la sola dichiarazione autorizzata del dottor Lari che appare amareggiato e indignato per gli scoop, mezze verità e menzogne che finiscono nello stesso calderone confondendo l’opinione pubblica e compromettendo le indagini in corso.

Sulla strage di via D’Amelio per capire se quella verità processuale che ci era stata consegnata, come sta svelando Gaspare Spatuzza era falsa perché qualcuno ha voluto coprire l’esistenza di un terzo livello o per incapacità investigative.

Sulla trattativa intercorsa tra Cosa Nostra e pezzi della politica, delle istituzioni e dei servizi segreti deviati che hanno “appaltato” le stragi alla mafia. E mai come ora tornano alla mente quelle parole ripetute più volte a chi scrive nel corso dell’intervista a Maria Concetta Riina dalla madre Ninetta Bagarella: “Adesso tutto viene scaricato su mio marito ma vedrà prima o poi si renderà conto che non siamo i peggiori”.

Di fronte a indagini che come in un puzzle consegnano di volta in volta un nuovo quadro da far tremare le vene, il procuratore Lari invita i giornalisti a un maggiore senso di responsabilità che è altro dal rinunciare ad informare come accadrà se passerà il testo sulle intercettazioni. La mafia teme la presa di coscienza soprattutto dei giovani. Quel passaggio nella lettera anonima alla paura mascherata dal coraggio è un chiaro riferimento al convegno svoltosi qualche giorno fa a Caltanissetta organizzato proprio dal procuratore Lari a cui hanno partecipato oltre 700 ragazzi. Non passa giorno che i magistrati della Dda nissena a turno non vadano a parlare nelle scuole della provincia dove, per la prima volta, si trovano davanti studenti che pongono domande del tipo: “Perché siamo ridotti così? Cosa possiamo fare per riprenderci in mano il nostro futuro?”, che ascoltano con religiosa attenzione i loro inviti a diventare soggetti attivi del riscatto. Ribellione. Una parola che alla mafia fa più paura degli ergastoli che fanno parte del gioco.

Un gioco che per essere vincente ha bisogno di kalashnikov e bombe all’occorrenza ma soprattutto di coscienze omertose, sottomesse, indifferenti, rassegnate anche di fronte a quella politica che con la mafia va a braccetto. “La partecipazione dei giovani a cui assistiamo è commovente”, spiega il dottor Lari. A cui si aggiungono gli imprenditori che, anche grazie alla presa di posizione del presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, anche lui non a caso raggiunto dall’anonimo-mafioso, stanno pian piano smettendo di pagare il pizzo (e questo procura molti problemi a Cosa Nostra che ha bisogno di liquidità per mantenere le famiglie dei carcerati).

Il procuratore Lari tradisce di nuovo la consegna del silenzio e lo fa per denunciare l’incredibile situazione del sostituto procuratore della Dda Giovanni Di Leo, unico a non avere misure di tutela, di fronte all’indifferenza dell’Ufficio centrale Scorte del ministero dell’Interno. A Di Leo – occupatosi per anni alla Procura di Palermo della mafia agrigentina – arrivato a Caltanissetta a settembre dalla Procura di Roma dove è cotitolare dell’inchiesta Fastweb-Telecom Sparkle, su richiesta del procuratore viene assegnata come misura di protezione un’auto blindata, che arriverà solo dopo mesi, mai usata, in quanto il pm non può guidarla e non ci sono soldi per gli straordinari degli autisti. A quel punto il comitato provinciale per la sicurezza e l’ordine pubblico di Caltanissetta, su sollecitazione del procuratore Lari dispone la misura della tutela (un uomo armato di scorta sulla stessa autovettura) in attesa dell’autorizzazione del ministero che chiede informazioni alla Procura di Roma dove Di Leo risulta applicato quattro volte al mese al processo Fastweb-Telecom Sparkle. La procura generale dà parere favorevole ma il Comitato provinciale romano per la sicurezza e l’ordine pubblico dice che non vi sono elementi per stabilire l’effettiva esistenza del rischio su Roma, come se lavorare per gli altri 26 giorni alla Procura di Caltanissetta dove si occupa di delicatissime inchieste su mafia-economia e per quattro volte al mese raggiungere con la sua auto privata l’aeroporto di Catania per recarsi a Roma, diminuisca la sua esposizione. Questo accadeva ad aprile.

Da allora più nessuna risposta dal ministero.

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