mercoledì 30 giugno 2010

AMICI MIEI


Concorso esterno con i mafiosi fino al ‘92: sette anni a Dell’Utri “Sconto” rispetto al primo processo. Il pg: “Sono stupito”

di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza

Non erano farneticazioni, ''tesi fanatiche'' o ''teorie inesistenti''. Questa volta il salvagente giudiziario non è arrivato. Per la seconda volta, in appello, i giudici confermano che la mafia, in Parlamento, ha il volto di Marcello Dell'Utri. Un volto ''double-face''. La condanna a 7 anni (sconto di due anni rispetto al primo grado), emessa ieri in un'aula gremita di giornalisti dice chiaramente che il senatore del Pdl è stato un fiancheggiatore di Cosa Nostra, ma solo fino al 1992, l'anno delle stragi siciliane. Per il periodo successivo, cioè quello che abbraccia le bombe del '93 e la nascita di Forza Italia, non c'è prova che Dell'Utri sia stato un concorrente mafioso. Dopo cinque giorni di camera di consiglio, la Corte d'appello di Palermo, presieduta da Claudio Dall'Acqua (a latere Salvatore Barresi e Sergio La Commare), ha confermato il giudizio di responsabilità per concorso in associazione mafiosa nei confronti del braccio destro di Berlusconi, ma ha cancellato dal castello accusatorio la cosiddetta ''stagione politica'': quella che dal '92, a suon di tritolo, traghettò il Paese dalla Prima alla Seconda Repubblica. Per i giudici, il fatto, e cioè il patto mafia-politica con Dell'Utri tra i protagonisti, ''non sussiste''. Una certezza raggiunta dalla Corte senza aver ascoltato in aula Massimo Ciancimino, figlio del mafioso don Vito, che pure del dialogo tra i boss e pezzi delle istituzioni è stato testimone diretto.

Sospetti e scontenti

È un sentenza, ''all'italiana'', così ora dicono le parti, che non assolve e non condanna pienamente Dell'Utri, ma che di fatto allenta i sospetti sul ruolo di Forza Italia nel periodo dello stragismo mafioso. Perché se è vero che dal '92 in poi Dell'Utri non è più considerato un attivo concorrente di Cosa Nostra, allora è vero anche che perdono consistenza giuridica i suoi rapporti – pur testimoniati dai molti collaboratori (Giuffrè, Cannella, Cucuzza, Calvaruso) – con i boss di Brancaccio Giuseppe e Filippo Graviano, condannati per le stragi del '92 e del '93, che sono datati essenzialmente anni Novanta e costituiscono il fulcro delle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, dalle quali le nuove indagini su quel biennio di bombe hanno tratto un ulteriore impulso. Una sentenza che lascia tutti insoddisfatti. Non è soddisfatta la difesa, che puntava ad un'assoluzione piena e ora, per sminuire la sconfitta, la butta sulle presunte pressioni mediatiche subìte dalla Corte. E anche se l’avvocato Nino Mormino sottolinea come la sentenza faccia calare “una pietra tombale sulla presunta trattativa tra Stato e mafia”, il suo collega Pietro Federico non perde tempo per scaricare la palla su ''condizionamenti da parte di campagne di stampa'', respinte dagli stessi giudici con un inusuale comunicato letto in aula. Non è soddisfatto il pg Nino Gatto , che si dice ''stupito, perché Spatuzza non è stato tenuto nella giusta considerazione'', ma soprattutto perché quel ''gradino in grado di contribuire a costruire un pezzo di storia insanguinata del Paese'', da lui invocato nella replica finale,''questa sentenza non lo ha salito''. Non è pienamente contento, ovviamente, neppure Dell'Utri che pur non nascondendo la ''soddisfazione per l'esclusione (dal processo, ndr) di tutto ciò che riguarda le ipotesi dal '92 in poi'', ha definito ''pilatesca'' la sentenza.

Una foto in bianco e nero

Dell'Utri amico dei mafiosi, dunque, ma fino al '92. Il verdetto di appello restituisce la foto in bianco e nero di un intelligente bancario palermitano, con numerose amicizie tra i boss, che dagli anni '70, e fino al '92, ha vissuto fianco a fianco con Berlusconi gestendo in prima persona i rapporti e le pressioni che dalla Sicilia salivano sino a Milano nella stagione iniziale del riciclaggio mafioso. Quando i boss Stefano Bontade e Mimmo Teresi spediscono ad Arcore Mangano, per poi seguirlo nel capoluogo lombardo con valigie cariche di miliardi del narcotraffico da investire nella rampante imprenditoria lombarda. Sono gli anni della paura dei rapimenti, delle minacce, delle estorsioni, ma anche della grande avventura delle ''antenne'', condotta sempre in tandem da Berlusconi con Marcello , al quale è affidata la raccolta pubblicitaria a nove zeri. Dell'Utri amico dei boss perdenti e poi – negli anni Ottanta – degli alleati dei Corleonesi di Riina. In quegli anni, e arriviamo nel 1990, il capo di Publitalia, ormai polmone finanziario della Fininvest, media, ''per ragioni umanitarie'' dicono i suoi avvocati, le richieste estorsive dei mafiosi precedute dagli incendi ai negozi Standa di Catania. Il Muro di Berlino è appena crollato, e Berlusconi , dopo il mattone e l'etere, si prepara a vivere la sua terza vita da politico. Anche in questo Dell'Utri resta al suo fianco, anzi, come rivela Ezio Cartotto, ex esponente Dc assoldato dalla Fininvest, lo spinge verso la ''discesa in campo''. Siamo nella primavera del '92, parte l'operazione Botticelli ma qui, il verdetto di appello ferma l'orologio della giustizia. Tocca adesso alla Cassazione l’ultima parola su questa lunga vicenda giudiziaria.

Nessun commento: