domenica 27 giugno 2010

LA CACCIA AL TESORO di Andrea Camilleri

La presentazione del libro.

“In sintesi

Questa volta al commissario Montalbano si presenta un caso più insolito degli altri. Nella casa in pieno stato d'abbandono e riempita di crocifissi dei fratelli Gregorio e Caterina Palmisano viene ritrovata una bambola gonfiabile senza un occhio e molto malconcia; qualche giorno dopo ne viene ritrovata un'altra, in un cassonetto di Vigàta, e Montalbano comincia a sentire puzza di bruciato. Negli stessi giorni comincia inoltre a ricevere delle strane lettere anonime contenenti le istruzioni per una strana caccia al tesoro: man mano che risolve gli indovinelli e le sciarade capisce che qualcosa di oscuro è celato dietro a quel gioco e che è giunta l'ora di risolverlo davvero. Una ragazza è scomparsa e mentre Montalbano segue le sue ultime tracce che si perdono verso un lago misterioso gli arriva l'ennesima inquietante lettera.

Descrizione

Un torpore inerte ha invaso il commissariato di Vigàta: un tedio strascicato. Ammortisce pure il trallerallera di Catarella, che adesso incespica tra rebus e cruciverba. Montalbano legge un romanzo di Simenon, e distratto va sfogliando una vecchia annata della "Domenica del Corriere": al telefono continua il dai e ridai querulo e molesto della suscettibile fidanzata, lontana sempre, lontanissima. Eppure un diversivo c'era stato. Due anziani bigotti, fratello e sorella, a furia di preterìe e giaculatorie, avevano rincappellato pazzia sopra pazzia. La loro demenza era arrivata al fanatismo delle armi. E la sceriffata santa aveva lasciato sul campo uno strumento di passioni tristi e appassite: una bambola gonfiabile, disfatta dall'uso; una di quelle pupazze maritabili che (diceva Gadda) tu le "basci, e ci piangi sopra, e speri icchè tu voi. E, fornito il bascio, te tu la disenfi e riforbisci e ripieghi e riponi, come una camiscia stirata". Un'altra bambola gemella, ugualmente disfatta, ma data per cadavere di giovane seviziata, era stata trovata poi in un cassonetto della spazzatura, in via Brancati. Sembrò una stravaganza.”

OSSERVAZIONI CRITICHE.

Da accanito lettore di Andrea Camilleri ho avuto dalla lettura di questa ennesima inchiesta del Commissario Salvo Montalbano l’impressione di una certa stanchezza della vena narrativa ed inventiva di Camilleri.

Innanzitutto, in quest’opera la tecnica di scrittura dei romanzi sembra abbastanza scoperta. Alludo alla necessità di tener sempre desta l’attenzione del lettore, rinviando di volta in volta la soluzione dei o dei misteri. Per chi vuole approfondire:

http://ilgiornalieri.blogspot.com/2010/05/lo-mio-maestro-e-donno.html

Camilleri sembra anche distratto, salvo ad aver usato una metafora, quando fa rizzare i capelli in testa a Montalbano! In verità, è noto che il personaggio Montalbano, se non ricordo male ispirato a un poliziotto veramente esistito, nasce nella fantasia di Camilleri con una folta chioma di capelli e un profilo imperioso. Ma la serie televisiva è stata interpretata dal Luca Zingaretti, fisicamente e fisiognomicamente molto lontano del personaggio Montalbano, tuttavia interprete superbo del Montalbano psicologico. Luca Zingaretti è quasi calvo e ha il capo rasato, quindi se gli rizzano i capelli in testa è una metafora anche piuttosto improbabile. Inoltre, l’immaginario televisivo dei lettori di Montalbano leggendo hanno in mente quando leggono volto, corpo e voce di Luca Zingaretti!

In questo romanzo Montalbano ha 57 anni, a differenza del commissario Maigret di George Simenon che non invecchia mai Montalbano invece invecchia. E 57 anni sono una bella età per Montalbano, posto che l’età della pensione è 60 anni. Come chi c’è passato sa, a 57 anni un commissario di polizia del tipo Montalbano è espertissimo, avendo coltivato l’arte del dubbio fin dai primi passi. Invece, Salvo fin da subito commette un primo grave errore (se non l’avesse commesso, bisogna dirlo, il romanzo non sarebbe stato in linea con i 18 capitoli e le 269 pagine - nell’edizione Sellerio – di cui obbligatoriamente si debbono sustanziare i romanzi della serie Montalbano), quello di non insospettirsi dell’irrompere nella scena di tale Alfredo, un ‘vintino’ somigliante a Harry Potter, il maghetto a mio parere ‘ntipatico della serie letteraria e cinematografica. Non bastasse la somiglianza, le domande che fa Alfredo e le intenzioni che manifesta (capire come funziona il cervello di Montalbano!), eccessive anche in uno studente di filosofia intelligentissimo con propensione alla specializzazione in epistemologia, paradossalmente non allignano nessun dubbio nella mente di Montalbano, che non fa fare a Fazio ciò che poi accadrà verso la fine del romanzo, e cioè sapere chi è Alfredo.

Montalbano non è vanitoso, dunque perché non dubita?

“La caccia al tesoro” era già in atto quando Alfredo compare sulla scena, propiziato da una bellissima svedese – Ingrid – che esercita una attrazione quasi magnetica su Montalbano, che una sola volta ci fa anche l’amore nonostante il suo voto di castità e di fedeltà ad una Livia sempre più lontana. Io ho immediatamente intuito che questo Alfredo era l’artefice della caccia al tesoro, che da un gioco apparentemente innocuo si trasforma rapidamente in un gioco pericoloso perché ispirato da una vena di pazzia criminale. Ciò accade quando a Montalbano viene consegnato un pacco contenente una vecchia scatola di metallo di una celebre marca di biscotti della prima metà del secolo scorso, contente una testa di vitello mozzata in modo rudimentale. Lo ‘staff’ di Montalbano esclude subito la matrice mafiosa, tuttavia il nostro commissario non attiva la sua curiosità su Alfredo.

A parte che Montalbano si spaventa un po’ troppo per uno che ne ha viste di tutti i colori, segno che ha abbassato un po’ troppo la guardia, ma è anche un commissario deconcentrato ed eccessivamente individualista.

Se fosse stato concentrato come di consueto, avrebbe notato subito la differenza fra il distico di una delle ‘tappe’ della caccia al tesoro e il resoconto, solo apparentemente frettoloso di Alfredo, che modifica tale distico.

Se avesse fatto il gioco di squadra (i suoi uomini, anche Mimì Augiello, stravedono per lui) non avrebbe corso un rischio non propriamente calcolato, visto che le intenzioni del commissario Alfredo le capisce quasi subito.

In ogni caso, un romanzo godibile, forse con un eccesso di dialettismi siciliani probabilmente arcaici che nemmeno un oriundo come me riesce a decifrare.

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