

FABIO MARTINI
Per capire di che pasta sia fatto Matteo Renzi, insomma se sia un tipo «tutto chiacchiere e distintivo», oppure se abbia la stoffa per diventare un leader della sinistra, bisognava trovarsi l’altra sera al Moyo.
Lì, in uno dei locali della movida fiorentina, era stato fissato un incontro pubblico tra il sindaco e i commercianti, imbufaliti per la decisione di Renzi di mantenere
A poche ore dall’incontro il primo colpo di scena: i bottegai disdicono. Renzi li avvisa: «Se annullate l’incontro ci rivediamo nel 2018». Dietrofront delle associazioni, ma quando il sindaco arriva al Moyo, c’è un clima da forche caudine. I commercianti attaccano: «Trenini e navette annunciati dal Comune? Fanno ridere!», «Matteo mi hai deluso, avevi promesso l'abolizione della Ztl», «la gente non viene più in centro». E il sindaco: «Se mi dimostrate che
Fra due giorni sarà un anno che Renzi è sindaco. Al suo apparire si sprecò un paragone inaudito, l’Obama bianco, per celebrare una scommessa vinta: ancora oggi è l’unico trentenne del Pd che abbia avuto il coraggio di sfidare la nomenclatura di partito. L’aveva battuta, anzitutto, per gli effetti di uno spregiudicato sistema di autopromozione: da presidente della Provincia, Renzi aveva autorizzato la spesa di tanto denaro pubblico per propagandare eventi che talora erano costati meno di quanto investito per pubblicizzarli. Alle Primarie Pd, Renzi aveva azzeccato il messaggio: l’anti-casta sono io. Il tutto condito da un linguaggio diverso da quello autoreferenziale dei big della sinistra. Come la battuta con la quale ora ricorda la vittoria: «Non ho vinto perché io ero un ganzo, è che gli altri erano fave!».
Trentacinque anni, tre figli e «una moglie, Agnese, insegnante precaria», Renzi è un tarantolato. Basta entrare per mezz’ora nel suo studio a Palazzo Vecchio: sul computer ha la foto dall’alto di Firenze e lui di continuo ci zoomma sopra per controllare strade da aggiustare, edifici da abbattere. Intanto il suo telefonino squilla senza sosta. «È il questore». Risponde: «Francesco, allora quell’intervento?». Nuovo squillo: «Erasmo, riusciamo a metterla quella fontanella di acqua frizzante a piazza della Signoria?».
Ossessionato dall’effetto annuncio, pur avendo in parte mancato la promessa dei suoi «cento punti in cento giorni», Renzi non ha bruciato per intero il credito dei poteri forti.
Dice Giovanni Gentile, presidente della Confindustria Firenze: «Abbiamo condiviso la determinazione e la visione della città del sindaco, che ha ripreso diverse nostre proposte, ma per il momento ha incontrato difficoltà nel metterle in pratica e per quanto riguarda il piano regolatore e le opere siamo assolutamente fermi. Giudizio sospeso». Eppure un intellettuale disorganico, certo non di sinistra, come Franco Cardini, è indulgente: «Si è fatto la fama del ragazzaccio, è un po’ demagogico, ma in una città cinica Renzi sta cercando di muovere le acque ed è riuscito anche a dare qualche strapazzata». La sua sfida è tutta lì: governando Firenze, il giovane Renzi riuscirà a dimostrare di avere le virtù che scarseggiano tra i notabili della sinistra italiana? La prima: saper decidere, senza impaniarsi nei veti dei soliti noti?
Dalla sera alla mattina il sindaco ha chiuso un dibattito decennale, pedonalizzando piazza Duomo e interdicendo l’arrivo del tram. Dice Renzi: «Fino all’annuncio, lo sapevano in quattro: col vecchio metodo della concertazione non si sarebbe fatto nulla». Subire i poteri di veto è un tabù della sinistra - romana ed emiliana - che Renzi sta provando a sfatare, come indirettamente conferma il segretario della Cgil Mauro Fuso: «Una scelta di rara bellezza quella del Duomo, ma Renzi non ha preventivamente concertato la decisione con le associazioni di rappresentanza: lui vive il dialogo come una zavorra, ma così i problemi aumentano». Da 20 anni il comune di Sesto Fiorentino,
C’è del metodo in questa «follia»? «Sul piano simbolico - sostiene il trentasettenne sociologo Giuliano da Empoli, assessore comunale alla Cultura - è partito un messaggio "sovversivo": in un Paese nel quale non si può far nulla, a Firenze se hai idee e talento, trovi spazio». Ma chi lo conosce «dai tempi del liceo», propone un’altra lettura: «Diciamo la verità - sostiene Gabriele Toccafondi, deputato Pdl - intestandosi diverse nostre battaglie, Matteo ci ha messo in difficoltà. Ma attenzione: a lui non interessa il buongoverno, ma costruirsi un’immagine decisionista per la scalata alla guida del Pd».
Ma Renzi è pronto per il grande salto? Valdo Spini, ora capo dell’opposizione di sinistra, ha fatto il vice di Craxi e di leadership se ne intende: «Renzi è fresco, ha coraggio, ma ora che il berlusconismo sta finendo deve capire che il futuro non sta nell’uomo solo al comando, ma nel sapere costruire una classe dirigente». Appunto, saper far squadra è dote importante per un leader, ma Renzi nicchia: «Se devono cercare uno che li metta d’accordo a Roma, non pensino a me, anche perché io sono interessato a far bene il sindaco». Un refrain al quale credono in pochi. Raccontano anzi che gli abbiano suggerito atteggiamenti meno cheap, una cura per irrobustire il carisma. Requisito, questo sì decisivo in un leader. Un detto spagnolo lo riassume nella somma di «cabeza, corazon y cojones». Renzi sta al gioco: «Io? Più corazon e cojones che cabeza!».
[2-continua]

3 commenti:
L'Italia dei pazzi è ormai un marasma incommprensibile, in quella dei seri non si ci capisce nulla.. Andando avanti così fra stele cadenti e quelle emergenti ci verrà il torcicollo :))
COME SI FA A CAPIRE QUANDO UNO E' PAZZO O E' SERIO?
Appunto per questo non si ci capisce nulla.. dove sono i pazzi e dove i seri?
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