di Oreste Pivetta
Le elezioni non finiscono mai. In Piemonte continuano grazie alle firme false e alle fiaccolate, nell’aula del tribunale amministrativo (il Tar), in quelle della Procura della Repubblica e in piazza.
Peccato che i cavilli siano tanti e che nel caso più clamoroso ci sia di mezzo una inchiesta penale, sotto accusa un consigliere uscente, Roberto Giovine, a capo della lista “Pensionati per Cota”, protagonisti della storia anche il padre Carlo, parenti e fidanzate, qualcuno ignaro, qualcuno consapevole. Giovine avrebbe messo assieme la lista con i loro nomi e con le loro firme, contraffatte, “imitazioni fatte da un dilettante, una falsità chiara e incontrovertibile”, secondo la perizia del tribunale (che s’aggiungerà alle altre prove in mano al Tar). Il gip è andato a sentire i firmatari veri o falsificati, gli zii, i cugini, l’ex fiamma. C’è lo zio che conferma, spiegando d’aver attraversato in due ore e mezza il Piemonte da un capo all’altro e ritorno per apporre lo storico sigillo e, quando il giudice gli contesta l’improbabile rapidità del viaggio, s’inalbera e risponde: “Ma, insomma, ci ho messo il tempo che ci voleva”.
C’è la zia che di quel giorno non ricorda più nulla: aveva mal di testa. C’è la cugina che di fronte alla firma scarabocchiata si scusa: “Ero emozionata”. Non manca l’ex fiamma, che si vendica: “Ormai vivo a Milano”. Per fortuna compare, dagli interrogatori, anche qualcuno che si salva: “Siamo amici. Se ce lo avesse chiesto, avremmo firmato. Ma non l’ha fatto”. Chi cerca argomenti alla tesi del familismo amorale degli italiani, venga in Piemonte.
Ma il ritratto del capo dei “Pensionati per Cota” è già ricco di un precedente, perché Michele Giovine verrà processato per la stessa violazione per cui fu indagato nel 2005. Allora se la cavò con la prescrizione, perché il reato di falsità previsto dalle norme speciali elettorali era stato derubricato ad ammenda, talmente fortunato il Giovine che non pagò neppure quella. Stavolta gli capita sulla testa la tegola di una sentenza della Corte Costituzionale che giudica illegittima la nuova norma. Si torna al “delitto”, punibile con il carcere. Per la sentenza si dovrà attendere. Intanto giudicherà il Tar, probabilmente tra una o due settimane. Chi è costretto a seguire di giorno in giorno i movimenti di Cota dice di averlo visto assai nervoso, al limite di una crisi. Naturale perché il “cavillo” è in realtà un fatto grave e il “fatto grave” è una delle gambe della sua poltrona, dopo un voto che ha lasciato
La sentenza del Tar non è detto che preveda nuove elezioni: potrebbe annullare le precedenti confermando in carica Cota per l’ordinaria amministrazione, potrebbe cancellare Cota richiamando
Nel frattempo
27 giugno 2010
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