sabato 17 luglio 2010

Cappellacci, 4 ore dai pm L’uomo dei dossier anti-Caldoro: “Una leggerezza”


Due politici sulla graticola. I primi ad essere ascoltati dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo nell'ambito dell'inchiesta stralcio sulla loggia P3.

Due uomini chiave nelle province dell'impero berlusconiano. Il primo ad essere interrogato è stato Ernesto Sica, l'uomo del complotto anti-Caldoro, già dimessosi da assessore della Campania. Per “incompatibilità ambientale” dal momento che l'accusa lo indica come colui che ha confezionato il dossier a luci rosse contro l'attuale governatore campano a cui la P3 di Carboni, cui Sica apparterrebbe, preferiva Nicola Cosentino, L'altro è Ugo Cappellacci, governatore della Sardegna, che non si è ancora dimesso, ma potrebbe essere costretto a farlo se gli venisse contestata anche l'appartenenza alla società segreta.

Salernitano, 39 anni e “bello guaglione”, al termine dell'interrogatorio Sica è apparso soddisfatto. Gran navigatore l'ex assessore, esordì con De Mita giovanissimo per poi passare alla Margherita, anche se alla fine ha abbandonato il Pd. “Io sono un uomo di Berlusconi”, rivendica con orgoglio. Poi minimizza: “Dossier, dossier, è stata una leggerezza lo ammetto... ma quando ci sono in ballo le nomine in campagna elettorale si fanno pure queste cose. Con Caldoro niente di personale”. Perché è così legato a Cosentino? “Io sono molto legato a Berlusconi, e quello era il candidato più vicino alle nostre posizioni ”. Ma si è incontrato con il procuratore Umberto Marconi e ha approntato il dossier? “No, Marconi lo conosco appena”.

Con l'interrogatorio di Cappellacci è cominciata la fase due dell'inchiesta, quella che punta alle trame di palazzo Pecci Blunt. Triste parabola quella del “signor nessuno” che alle regionali del 2009 osò sfidare e vincere Renato Soru. Figlio del commercialista di Berlusconi in Sardegna, il suo errore è stato sfuggire all'ala protettiva di Romano Comincioli, coordinatore regionale del Pdl, cui Silvio lo aveva affidato, per rifugiarsi nell'abbraccio mortale di Verdini. A metterlo nei guai quei cinque incontri all'Ara Coeli dove Carboni dettava le regole: “Se non fate Ignazio Farris presidente dell'Arpas me ne vado”. Farris è compare dell'assessore regionale Pinello Cossu, zio di Antonella Pau, attuale compagna di Carboni. Un affare di famiglia, quello delle pale. E il governatore ha prodotto la delibera che dava mano libera all'Agenzia regionale dell'ambiente. Come Carboni voleva, poi gli telefona: “Se vuoi ti mando una copia...”. La sua sorte potrebbe essere segnata se Capaldo dopo questo incontro decidesse di iscriverlo anche per violazione della legge Anselmi. Il governatore si è difeso, ha ricordato come a marzo del 2010 telefonò all'ingegner Piga: “Basta, non se ne fa più niente, me ne sono liberato, diglielo tu che la saracinesca è chiusa”, aveva gridato. Una sceneggiata secondo i giudici. Ma c'è anche un'altra telefonata a metterlo nei guai, quella del 14 ottobre 2009 ad Arcangelo Martino, al quale si rivolge per avere il numero di Cosimo Ferri, consigliere del Csm. Temeva che Leonardo Bonsignore, presidente del tribunale di Cagliari, fosse trasferito. "Perderemmo un amico carissimo e una persona valida".

Rita Di Giovacchino

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