lunedì 5 luglio 2010

Docenti italiani fannulloni? Un mito da sfatare


di Mila Spicola

Secondo un sondaggio l’idea del “docente fannullone”, promossa da Brunetta, rilanciata da Tremonti e accolta dalla Gelmini, ma attecchita senza resistenze nell’opinione pubblica italiana, deriva non tanto dalla qualità del lavoro offerto (il 65% dei genitori intervistati è sostanzialmente soddisfatto dei docenti dei proprii figli, il 20% addirittura entusiasta, con un indice di gradimento molto alto se conforntato con quello di altre categorie di lavoratori del pubblico impiego) quanto da altri fattori: rapporto lavoro-vacanze in primis.

Vediamo di saperne di più.

Lo stipendio medio di un insegnante tedesco è superiore, e non di poco, rispetto a quello dei suoi omologhi italiani. Lo stipendio medio di un professore di scuola secondaria superiore in Italia dopo quindici anni di insegnamento è di 27.500 euro lordi annui Un insegnante tedesco, allo stesso livello di carriera, guadagna 45.000 euro all'anno. All’inizio della carriera, oggi, un insegnante delle medie, tanto per fare un esempio, io, guadagna 18.500 euro netti, tredicesima inclusa (scelgo il caso tedesco perché in questi giorni stanno scioperando per avere un aumento salariale, a dir loro non adeguato).

Gli insegnanti tedeschi hanno una media di 22 ore di lezione frontale alla settimana contro le 18 degli insegnanti del nostro paese, ma bisogna tenere conto del fatto che le ore di lezione in Germania sono solo di 45 minuti.
Ore effettive di lavoro: docenti italiani 18 ore di 60 minuti; docenti tedeschi 16,3333… di 60 minuti.

Non entro nel confronto tra le ore di lavoro prestato oltre le ore effettive di lezione frontale. Quelle quantificabili: riunioni, ricevimenti, programmazioni e quelle non quantificabili: aggiornamenti, studio, preparazione delle lezioni, correzioni dei compiti, visite guidate. Nella maggior parte prestate a titolo gratuito.

La durata delle vacanze estive della scuola tedesca è di circa sei settimane, con alcune differenze tra i vari Länder. C'è una ragione delle differenze tra i periodi di vacanza assegnati alle varie regioni: si cerca di non far chiudere le scuole lo stesso giorno in tutta la nazione per evitare che le Autobhan (le austostrade) vadano in tilt per il troppo traffico. Le altre vacanze (non considerando come da noi, giorni festivi nazionali) nel resto dell'anno sono le Herbstferien (due settimane in autunno), le Weihnachtsferien (tre settimane di vacanze di Natale), le Osterferien (una settimana di vacanza pasquale). Non sono poche quindi le vacanze all'interno del sistema scolastico tedesco, ma il tutto è bilanciato dal notevole numero di ore di lezione settimanale per i ragazzi, 40 nel Ginnasio, ad esempio.

La lezioni in quasi tutte le scuole superiori non sono di 60 minuti ma di 45 minuti. Piccola curiosità: gli intervalli (in numero di due al giorno, sono più lunghi che in Italia: durano 20 minuti, da noi è uno di 15 minuti).

Riassumendo:

Vacanze tedesche: 6 settimane + 2 settimane + 3 settimane = 11 settimane
Vacanze italiane: 8 settimane (alle medie, alle superiori sono 5) + 2 (natale) + 1 (pasqua) = 11 settimane

Avete letto bene: 11 settimane.

Per quel che riguarda la totalità dei docenti italiani, ne sono certa, sarebbero felici di dimezzare i propri “privilegi” pur di guadagnare anche solo la metà dei colleghi tedeschi e dunque avverto il prossimo amico che si imbarca con me in simili discussioni: se l’argomentazione non basterà attaccherò il contro argomentatore, fisicamente.

Considerazioni.

Tempo di lavoro: gli insegnanti italiani lavorano di più e guadagnano un terzo dei colleghi tedeschi. Come mai nella vulgata collettiva dell’italietta media la vita dell’insegnante è “piena di privilegi”e in “Europa invece sì che lavorano gli insegnanti?”.
Ho fatto il confronto con il caso del collega tedesco, quello che nell’opinione pubblica comune rappresenta il caso simbolo della scuola modello e del “docente veramente lavoratore”, che “fatica” come un tedesco, appunto, che lavorerebbe di più, visti i risultati. Eppure dati alla mano: il tedesco lavora meno di quello italiano.

Se dovessimo attenerci alle considerazioni meramente quantitative a cui si attiene in genere l’opinione pubblica media italiana (che non si forma da sola, attenzione, ma in seguito a informazioni fornite dai media: tv in primis e stampa) ne verrebbe fuori che il docente italiano è un gran cretino: lavora di più e guadagna un terzo del collega tedesco. Da questo punto di vista lo è eccome: cretino. Sempre secondo il metro comune dell’Italia di oggi.

Ma il docente italiano, per fortuna, non segue quel metro. Forse è il “,3333” del risultato delle ore prestate che fa pensare a un di più…? Cioè un numero con maggiori cifre magari rappresenta una quantità maggiore? O solo la superficialità e la velocità con cui si produce e afferma la disinformazione in Italia?

I risultati scadenti degli studenti italiani: la colpa è del singolo insegnante o di un sistema che fa acqua da tutte le parti e su cui molti, troppi, hanno la responsabilità di non averci messo le mani? Secondo voi se una fabbrica produce macchine difettose la colpa è del singolo operaio o di chi dovrebbe controllare i processi di produzione o della catena di montaggio e di chi la governa? Entrambi? Forse, ma a scale di responsabilità ben diverse.

Qualità dei risultati: coincide con la qualità del lavoro offerto? Secondo voi è sul docente che deve soffermarsi la critica o sul “sistema scuola” nel complesso? Il miglior operaio può produrre una Ferrari se ha una catena di montaggio adatta per una 126 e per giunta difettosa?

La scuola non funziona: “a chi diamo la colpa?”. Tutti hanno delle responsabilità nella crisi del sistema scolastico italiano. Politici, per incapacità reali, per disinteresse, per opportunismi di bilancio; sindacati, per autodifese di tipo corporativo; lo stesso mondo della scuola.

Il singolo docente, da sempre volto all’autoconservazione del proprio metodo di lavoro, trascurato oggi, non controllato domani, offeso sempre, si arena e galleggia nella semplice auto responsabilità: non basta. E diventa un peso non più tollerabile. Ci vuole sempre una misura altra di controllo e di valutazione del proprio metodo e non può essere quello dei risultati degli allievi, perché quei risultati sono falsati dalla realtà complessiva del sistema: molteplice e carente.

Come in tutte le categorie ci sono docenti bravi e docenti meno bravi, ma quello è solo uno dei problemi. Gli effetti di questa situazione alla fine li pagano soprattutto gli studenti e gli stessi lavoratori del mondo della scuola.

Lavoratori tra l’altro, in Italia, sottopagati (e adesso sapete a che livello), umiliati e messi ai margini. Sommiamoci il logorìo del lavoro quotidiano e ne viene fuori l’eroe di cui parla Bersani, non perché insegna nelle periferie, ma perché alza la saracinesca e fa l’appello. Non solo la alza ma fa scuola. Nonostante tutto. A Trento come a Lampedusa. E’ l’unica risorsa vera (tolti i soldi, tolte le strutture, tolti i materiali, tolte le scuole che cadono a pezzi) in Italia, allo stato attuale dei fatti, a permettere lo svolgimento di uno dei cardini della nostra Costituzione.

Se infatti si vanno poi a valutare i risultati delle eccellenze (cioè, detta in parole spicciole, cosa “realizzano” i nostri ragazzi eccellenti) al confronto con i coetanei europei arrivano le sorprese: i nostri sono geni. Sono quelli che poi, messi in condizione di agire in situazioni lavorative ottimali (all’estero ovviamente) producono il meglio: scienziati, ricercatori, architetti, avvocati, medici, anche quando provengono dalle famigerate scuole del sud. Anzi: incredibilmente la percentuale è maggiore, di eccellenze all’estero provenienti da regioni del sud dell’Italia (anche perché rappresentano il grosso dell’emigrazione italiana). Grazie a chi? Sono figli dell’orgoglio di papà e mamma? Certo, ma permetteteci di aggiungere: sono figli di un lavoro estenuante di docenti e docenti e docenti. Lasciatemelo dire, di fronte a una buona percentuale di docenti da premio nobel, a una di docenti medi, e a una, minima, ve lo posso assicurare, percentuale di docenti “scarsi” l’alunno italiano è capace di maturare un giudizio critico effettivo e fondante che (pensate che cosa) ne aumenta la flessibilità di pensiero e l’ottima capacità flessibile dei nostri laureati di adattarsi a situazioni diversissime. Ovviamente nel caso degli allievi migliori, ma è sui peggiori che dovrebbe agire il sistema.

I dati che ho fornito all’inizio sono dati che difficilmente trapassano i media. La moda e la capacità giornalistica per quel che riguarda la scuola si limita a due tre cose: bullismo, scioperi e risultati scolastici percentualmente scarsi.

Alzi la mano chi di voi lo sapeva che le vacanze scolastiche tedesche sono esattamente uguali a quelle italiane.

Si, ma i risultati? Beh: per migliorare quei risultati si dovrebbe agire a tutti i livelli della catena di montaggio, non solo all’ultimo. La riforma Gelmini si è limitata a “togliere operai” dalla catena. Attenzione: non i peggiori. Ma indistintamente tolti tra quelli che stavano alla produzione dell’albero a camme e quelli della filiera del carburatore. Qualcosa ha aggiunto nella filiera dell’alza finestrino (la famosa lavagna luminosa).

La disinformazione sulla scuola: stampa libera di non essere libera

Dicevo dati alla mano. Per trovarli ho dovuto tradurre dei siti stranieri. I nostri sono pieni o di notizie superficiali sui tagli, o di opinioni ricorrenti, masticate, rimasticate e ormai rancide. Meno che mai avrei potuti rintracciarli sulla stampa. Come mai giornali e televisioni si guardano bene dal diffonderli? I dati di cui sopra, intendo. E non basta dire “le tv di Berlusconi” e “colpa di questo governo”, non mi pare di aver mai sentito un telegiornale negli ultimi dieci anni illustrare questi dati. E nemmeno di leggerli su un giornale, nemmeno su un quotidiano notoriamente “filo scolastico” come Repubblica.

Come mai? Perché è una notizia noiosa? Perché non fa lettori? Non fa audience? Eppure io mi ritrovo circondata di amici, anche di livello culturale e sociale elevato, avvocati, medici, funzionari, financo giornalisti (persone “informate” dunque), che di questi dati non hanno assolutamente idea, che prendono per incontrovertibile verità la vulgata sbagliata e falsa “del docente “privilegiato e fannullone” e ne fanno banco di discussioni accesissime. Figuriamoci l’italiano medio.

Ecco i bavagli reali: la gente non sa. Inebetita con 15 pagine oggi sui litigi Fini-Berlusconi, domani su Noemi Letizia, domani su non so cosa, non si rendono conto di una cosa fondamentale per un paese democratico: la carente completezza e l’assenza di giusta varietà dell’informazione di massa in Italia.

Sono perfettamente d’accordo che il bavaglio alla stampa sia una cosa gravissima, ma certificherebbe un bavaglio già esistente: quello della dilagante scarsa professionalità, nel senso reale della professione del giornalista, dei comitati di redazione. Oggi un giornale, e vale per tutte le testate dei quotidiani, non si preoccupa di garantire la varietà reale e di assicurare uno sguardo quanto più completo della realtà, in modo tale da assicurare al cittadino un autonomo giudizio critico dei fatti e della realtà, si preoccupa ahimè di trovare “lo scoop” più ghiotto, di acquisire maggiori lettori con mezzi aderenti alle normali strategie di marketing da liberismo selvaggio, di fornire ogni tanto “letture preconfezionate della realtà”. E ciò vale per ogni tipo di testata: di destra, di sinistra, di centro.

Eppure poi ritrovo fior di editoriali che si scagliano contro quello stesso liberismo selvaggio di cui il proprio giornale è consapevolmente portatore. E allora, mi vien da dire ad alta voce “Houston, abbiamo un problema”.
Ma a chi lo dico? C’è qualcuno in grado di capire che con la disinformazione (fornita, masticata, non cercata) si sta compiendo un delitto molto grave nei confronti del futuro dei ragazzi quasi quanto i famigerati tagli?

(4 luglio 2010)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi chiedo se c'è almeno uno tra i blogger che ha provato a leggere questo!
Strano che non ci siano commenti!
Val la pena leggerlo fino in fondo!
In fondo la scuola, in un modo o nell'altro interessa tutti (o dovrebbe).
Bah...
Madda

VDM ha detto...

Ecco un'altra analisi interessante. Sul fronte universitario ci sono simili miti da sfatare: poca produttività, fallimento del 3+2 (per quanto non mi piaccia), troppi corsi, troppi docenti.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Da VDM ricevo: "Ecco un'altra analisi interessante. Sul fronte universitario ci sono simili miti da sfatare: poca produttività, fallimento del 3+2 (per quanto non mi piaccia), troppi corsi, troppi docenti".