martedì 27 luglio 2010

Fini a muso duro: nessun incarico a chi è indagato


L’ATTACCO A VERDINI E COSENTINO PER I RUOLI RICOPERTI NEL PDL

di Sara Nicoli

Il primo colpo di mortaio lo ha sparato in direzione di Nicola Cosentino, ma erano parole che non potevano non valere anche per l’altro grande inquisito del momento, Denis Verdini. Per non parlare poi di tutti gli altri indomiti “pitreisti” in cerca d’autore; un serraglio di cui Gianfranco Fini sembra avere intenzione di scrollarsi definitivamente di dosso. E lo ha fatto senza che oggi qualcuno possa più nutrire dubbi su cosa riserverà il futuro. “Mantenere incarichi per chi è indagato - sostiene Gianfranco Fini - è una questione di opportunità politica che dovrebbe far riflettere; bisogna distinguere il garantismo dall’opportunità, in certi casi, di continuare a mantenere incarichi politici quando si è indagati”. Eccole le campane a morto per il Pdl. Proprio perché le celebrazioni giudiziarie del giorno non consentivano interpretazioni diverse, le parole di “commiato” che il presidente della Camera ha voluto pronunciare, non potevano che avere bersagli precisi. Fini prima ha preso di netto le distanze non solo da Cosentino, dichiarando di “non aver compreso” perché sia rimasto a coordinare il Pdl campano dopo le dimissioni da sottosegretario. Poi, però, si è capito anche il resto, il messaggio, tutt’altro che subliminale, rivolto anche a Denis Verdini, ieri per oltre sette ore davanti ai magistrati di Roma dopo essersi dimesso “irrevocabilmente” da presidente del Credito Cooperativo Fiorentino, portandosi dietro tutto il cda che con lui ha condiviso, fino ad oggi ogni singolo passo. “Sono certo – ha detto Verdini – di dimostrare la mia estraneità, ma la rilevanza dei fatti che mi vengono imputati rischia di gettare un’ombra sulla banca”. Più d’una, se è per questo. Ma inutile credere che questo gesto dell’eminenza grigia toscana del Pdl sia propedeutico anche a sue dimissioni da coordinatore del Pdl. Ignazio La Russa lo ha persino invitato a mantenere il punto: “Mi ha dato la sua parola d’onore – ha detto il ministro della Difesa – di non aver commesso alcun reato; io gli credo, non voglio le sue dimissioni”. Per questo Fini ha voluto fare un passaggio ancora più forte sulla questione della legalità: “Legalità significa rispetto delle regole da parte di coloro che hanno maggiori responsabilità. Significa senso del dovere, cultura civica, etica di comportamenti per chi ha delle responsabilità: credo sia essenziale, se vogliamo insegnare ai più giovani ad avere comportamenti analoghi. E significa rispetto della magistratura, senza prestare il fianco a polemiche che rischiano di dare del Pdl un’immagine distorta. Occorre discutere tra di noi su come selezionare la classe dirigente. Occorre candidare coloro che hanno la qualità per onorare bene la carica; le leggi non devono servire per salvacondotto per i furbi”.

Passaggi che hanno avuto proprio il sapore di una netta presa di distanza da Berlusconi e dai suoi più stretti sodali, nonostante il presidente della Camera abbia sentito la necessità di ribadire di voler continuare ad impegnarsi “dentro il partito”: “ Vogliamo impegnarci dall'interno a rafforzare e a rendere il Pdl migliore – ha spiegato - e rafforzare il Pdl significa possedere meccanismi concordati e discussi”. Ancora una richiesta velata di congresso, dunque, destinata a cadere nel vuoto come quelle precedenti, sancendo di fatto che l’idea di partito che ha Fini non è mai esistita nella mente di Berlusconi né mai, a questo punto, potrà concretizzarsi; il Pdl non c’è più. E quello su cui metterà le mani ad agosto il Cavaliere potrebbe essere già orfano del co-fondatore: tra gli uomini più vicini a Palazzo Grazioli, ieri dopo le dichiarazioni di Fini la parola d’ordine era una sola: che ognuno si prenda al più presto sulle spalle la responsabilità politica del divorzio, altrimenti questo continuo logoramento ci potrebbe portare entrambi verso una sconfitta politica certa. Ormai, le idee sono distanti su tutto, anche suoi fondamentali. “Abbiamo ormai idee lontane su tutto – diceva ieri un maggiorente del partito – da cosa sia la lotta alla mafia a cosa vogliano dire legalità e moralità in politica”.

E se qualcuno aveva dubbi, è bastato aspettare quello che Fini ha voluto pronunciare a difesa di Fabio Granata, reo di aver voluto sollevare la questione più alta all’interno di un partito di inquisiti, quella morale, sentendosi rispondere di essere solo degno di venire giudicato da un collegio di probiviri o, peggio, di essere invitato alla porta solo perché disobbediente: “Quando si pone la questione morale – ecco la difesa secca di Fini - non si può essere considerati dei provocatori e non si può reagire con anatemi o minacciando espulsioni che non appartengono alla storia di un grande partito liberale di massa”. Insomma, stavolta pare proprio arrivato il tempo degli addii. Che, in Parlamento, saranno celebrati attraverso scontri che si preannunciano pesanti sulle nomine al Csm ma, soprattutto, sul ddl intercettazioni. A nome del Cavaliere, ieri ha risposto a Fini Sandro Bondi “Credo che non ci siano precedenti in Italia – ha replicato con durezza - di interventi così marcati e ripetuti nel dibattito politico da parte di chi ricopre il ruolo di presidente della Camera, dichiarazioni che sacrificano le istituzioni di garanzia”. Quasi un’eco a La Russa che solo poche ore prima aveva chiesto ancora a Fini, non si sa in modo quanto provocatorio, di dimettersi dalla presidenza della Camera e di entrare al governo.

Ormai appare troppo tardi davvero per tutto.

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