martedì 20 luglio 2010

Fuori dal Csm i legulei di parte


CARLO FEDERICO GROSSO

Fino a che non emerga un’eventuale prova contraria, nessuno è legittimato a pensare che Mancino, contattato da Lombardi, si sia comportato diversamente da quanto ha dichiarato alla Stampa.

Abbia, cioè, ignorato le richieste che gli venivano rivolte dal conterraneo geometra campano affinché si adoperasse per la nomina di Marra a presidente della Corte di appello di Milano.

Rimane, comunque, il fatto che egli ricevette Lombardi, ascoltò le sue richieste e, soprattutto, votò a favore di Marra insieme al primo presidente della Cassazione, risultando in questo modo determinante per la vittoria del candidato a favore del quale vi erano state tante pressioni.

Dalle cronache di questi giorni è d’altronde emerso che più d’uno furono i componenti del Csm che, destinatari di tentativi d’interferenza, votarono per Marra. Anche qui, forse, una coincidenza. Bene ha comunque fatto il presidente Napolitano a rifiutare che il Consiglio in carica, ormai prossimo alla scadenza, mettesse all’ordine del giorno il tema delle regole deontologiche interne al Csm e ad affermare che occorre essere in ogni caso attenti a non gettare ombre su coloro che si pronunciarono, al di fuori da ogni condizionamento, su quella proposta concorrendo alla sua approvazione.

È evidente, infatti, che il tema della correttezza deontologica in seno al Csm difficilmente avrebbe potuto essere affrontato con sufficiente distacco ed equilibrio da coloro che sono stati, in un modo o nell’altro, coinvolti nelle polemiche. È d’altronde altrettanto evidente che, nell’interesse dell’istituzione prima ancora che dei singoli suoi componenti, occorra evitare che si faccia di ogni erba un fascio: poiché è un fatto che anche in questo Consiglio Superiore, nonostante le decisioni che hanno suscitato perplessità, vi sono consiglieri al di sopra di ogni sospetto.

Piuttosto, di fronte allo sconcerto suscitato dalle troppe vicende consiliari discutibili, varrebbe la pena di cominciare a ragionare con serietà sul modo con il quale il Csm suole affrontare i suoi problemi. Per cercare, in qualche modo, di rimediare agli scompensi più rilevanti.

Due sono i nodi che devono essere affrontati in modo prioritario: il peso strabordante delle correnti, i rapporti con la politica. Due nodi che, sia pure in modo diverso, condizionano le decisioni del Consiglio.

Il peso delle correnti è assolutamente asfissiante. Lo era già anni fa, quando ho fatto io stesso parte del Consiglio come componente laico eletto dal Parlamento. E mi dicono che oggi sia molto peggio. Già allora la questione avrebbe comunque dovuto essere messa all’ordine del giorno dalla stessa magistratura come questione prioritaria. Ma è difficile pensare che, senza una spinta forte, senza, magari, uno scandalo, l’ordine giudiziario sia in grado di autoriformare se stesso, rinunciando a qualche abitudine consolidata o a qualche privilegio o potere di qualche suo dirigente. Ed infatti non è accaduto nulla. Né la politica ha avuto la forza d’imporre alcunché dall’esterno.

Le interferenze della politica sul Consiglio sono meno appariscenti, ma, forse, più subdole. Nella magistratura c’è sempre stata l’orgogliosa difesa della propria indipendenza dalla politica. E, quando la politica ha cercato di spostare gli equilibri all’interno del Consiglio Superiore (oltreché nei rapporti fra potere politico ed esercizio della funzione giudiziaria), essa ha, giustamente, reagito con veemenza.

Eppure, nei fatti, sovente il Consiglio Superiore non è stato insensibile alle sirene dei partiti, alle interferenze, agli scambi. Magistrati che cercavano la simpatia e l’appoggio dei politici; politici che cercavano a loro volta di appoggiare per acquisire meriti e potere; rapporti con il mondo dei partiti specificamente coltivati attraverso il cordone ombelicale offerto dalla presenza dei consiglieri laici di nomina parlamentare, sovente intesi come mera cinghia di trasmissione della volontà del segretario politico che li aveva designati.

Quale rimedio? Al momento non ne vedo molti. Forse, soltanto, l’appello a regole di buon governo e di ritrovata dignità. È un fatto, per esempio, che se i partiti anziché eleggere quali componenti del Csm persone autorevoli dell’Università o dell’avvocatura, in quanto tali (ragionevolmente) autonomi dai partiti che li hanno designati, preferiscono mandare in Consiglio politici di lungo corso o, peggio, come è talvolta accaduto, piccoli avvocati senza prestigio, è più facile che il cordone ombelicale si rafforzi.

Ecco, allora, l’auspicio. La magistratura ha già eletto i componenti del nuovo Consiglio. Fra di essi spiccano alcune persone di grande carisma. La politica faccia, ora, al meglio le sue scelte. Dico apertamente che un vicepresidente professore, lontano dal mondo e dalle temperie della politica, non aduso a compromessi ed a giochi di potere, eticamente attrezzato e indipendente, dopo gli scandali che stanno emergendo in questi giorni dovrebbe essere scelta assolutamente prioritaria. Come assolutamente prioritaria dovrebbe essere la preoccupazione di mandare al Consiglio consiglieri laici seri che non siano meri esecutori d’ordini e direttive di questo o di quel segretario di partito.

Ma le speranze sono poche. Ho letto che i partiti, data la difficoltà di trovare un accordo, non sono, per il momento, neppure in grado di eleggere i nuovi consiglieri. C’è addirittura il rischio che, nel gioco dei veti contrapposti, i tempi previsti per l’insediamento del nuovo Consiglio si consumino senza risultato e che quello in carica sia addirittura prorogato. Sarebbe una beffa, uno sberleffo a quanti (pochi) credono ancora nella serietà delle istituzioni. Altro che speranza di rinnovamento e serietà.

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