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Dall’“ago della bilancia” Casini alle “larghe intese” di D’Alema, alle cene da Vespa: è il tormentone dell’estate
di Luca Telese
Se conoscete l’immortale canzone in cui Vinicio Capossela gridava rapito: “Ho il ballo di San Vito e non mi passa!/ ho il ballo di San Vito e non mi passa!”. Bè, non è l’unico. Solo d’estate, forse per via del caldo umido e soffocante, accadono simili fenomeni, l’infuocato incedere del ballo di San Vito del governissimo (con sonorità tremontiane). Solo d’estate infuriano giochi di Palazzo, effetti di rifrazione ingannevole, leggende che si autoalimentano e tarante di politicismo esasperato che si accendono qua e là. Solo nel nostro Paese può accadere che in questa estate infuocata si balli ancora una volta la taranta del governissimo, e che i convitati costituiscano un plotone trasversale che va da Repubblica ai leader del Pd, dall’Udc ai tecnocrati delle mille bicamerali mai nate.
La mossa di Casini. Puntuale come
Cena di ballerini. Poi, imprevedibile ma folgorante, ci si è messo il grande anfitrione, Bruno Vespa. Fra fughe di notizie e smentite, l’unica cosa certa è che l’idea di un governissimo di salvezza nazionale (magari persino con Silvio Berlusconi che succede a se stesso) ha preso improvvisamente corpo quando la sua balera ha chiamato a raccolta tutti i convitati dei poteri forti:
Larghe intese dalemiane. L’altro maestro di danze, poi, ancora una volta è Massimo D’Alema. La sua intervista a Maria Teresa Meli, sul Corriere della Sera, pareva scritta apposta per dettare il tempo anche al suo leader presunto, Pier Luigi Bersani. Il segretario era in America, a celebrare un minuetto di alta diplomazia (con tanto di visita ai bagni del Pentagono) e lui, dall’Italia, dettava i termini del possibile accordo per un nuovo governo: “Ha un senso, se è un appello alla responsabilità per aprire una fase nuova attraverso un governo di transizione, di larghe intese, o come vogliamo chiamarlo”. Ma come? E il bipolarismo? “Ovviamente – proseguiva il lìder maximo – in una democrazia bipolare questa non può che essere una soluzione temporanea, legata a obiettivi precisi, ivi compresa la riforma della legge elettorale, che produce un bipolarismo fondato su una personalizzazione distorta della politica. E come la realizzazione di un compromesso ragionevole tra nord e sud in materia di federalismo, per evitare che questo diventi il tema di uno scontro lacerante. Si tratta di un discorso – concludeva D’Alema – che ha una logica e credo proprio che il maggior partito di opposizione sarebbe pronto a riconoscere la logica di un ragionamento di questo tipo” . E siccome
Ma che il nome di Giulio Tremonti sia stampato su molti spartiti, anche a sinistra, lo si è capito leggendo Repubblica. Il primo segnale ? L’intervista dell’ottimo Massimo Giannini, che doveva fare salti mortali per costringere il ministrissimo dell’Economia ad abbandonare i discorsi alati sull’europeismo e il mercatismo e tornare a parlare delle più prosaiche e nostrane cricche e P3: “Al massimo sono una cassetta di mele marce”, minimizzava, celebrando (in apparenza) la forza di Berlusconi: “Non c’è spazio per governi tecnici”.
L’ipotesi di Scalfari. Dopodiché, sulla stessa prima pagina un osservatore esperto e smaliziato come Eugenio Scalfari, vaticinava l’esatto contrario: “La domanda – si chiedeva il fondatore di Repubblica – è questa: è ipotizzabile un governo Tremonti senza Berlusconi e senza
Questa è l’estate della taranta governista, tutti pensano a cosa accadrà, e a chi menerà le danze. E intanto, in pista, Berlusconi continua a ballare.
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