lunedì 5 luglio 2010

Il sogno federalista si allontana


LUCA RICOLFI

Ghe pensi mi, ci penso io, ha detto Berlusconi pensando alla settimana di fuoco che inizia oggi. E in effetti nelle prossime settimane si deciderà la sorte di due provvedimenti fondamentali, il disegno di legge sulle intercettazioni e la manovra economica, con i suoi possibili assaggi di federalismo (minori tagli alle Regioni virtuose).

Il momento è dei più rischiosi per il governo, perché su entrambi i testi di legge potrebbero esserci defezioni e proteste da parte di importanti settori della maggioranza. Il decreto sulle intercettazioni, specie dopo le osservazioni critiche del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, è osteggiato apertamente dai cosiddetti finiani (seguaci di Fini), che vedono in esso un pericolo per la legalità e per la lotta al crimine. Quanto alla manovra, le parole di Tremonti sulla «cialtroneria» della classe politica meridionale hanno scaldato ulteriormente gli animi dei governatori del Sud, già molto preoccupati per l’entità dei tagli che la manovra prevede per le Regioni. Quel che potrebbe accadere, in altre parole, è che nei prossimi giorni i due tipi di protesta - finiani e politici del Mezzogiorno - si saldino, magari in nome di qualche più o meno astratto principio di coesione nazionale.

E che tale saldatura, anziché risolversi in un voto parlamentare di sfiducia al governo, si concretizzi invece - molto italianamente - in qualche scambio e concessione reciproca. Fra tutti gli scambi possibili, il più perverso - a mio parere - sarebbe quello fra intercettazioni e federalismo. E cioè che i finiani accettassero un cattivo compromesso sulle intercettazioni, in cambio di un gesto di clemenza nei confronti delle Regioni meridionali in dissesto. In parole povere: noi diamo soddisfazione a Berlusconi sul terreno della giustizia (intercettazioni), lui mette un freno a Tremonti sul terreno dell’economia (manovra e federalismo fiscale). Una scena, del resto, già vista ai tempi del secondo governo Berlusconi, quando - nel giro di una notte - Tremonti fu costretto alle dimissioni da Fini.

Perché dico che questo scambio sarebbe perverso?

Per le conseguenze che produrrebbe su tutti noi. Se sulle intercettazioni dovesse prevalere la linea dei falchi governativi, e soccombere quella dei seguaci di Fini, avremmo sicuramente più privacy, ma anche più intralci alla magistratura, meno strumenti di lotta alla criminalità, in definitiva meno legalità e meno sicurezza. Da questo punto di vista considero un grave errore politico dell’opposizione (e della stampa) aver chiamato legge-bavaglio la legge sulle intercettazioni, come se l’informazione ne fosse la prima vittima. No, dovevano chiamarla legge-mordacchia, perché la prima vittima della legge sarebbe la capacità di mordere della magistratura, e con essa la sicurezza dei cittadini.

Quanto alla manovra, se dovesse prevalere ancora una volta la linea dello sconto alle Regioni in dissesto, patrocinata innanzitutto dai governatori di tali Regioni, ne sarebbe gravemente compromesso il cammino verso il federalismo. Anziché iniziare un percorso di risanamento e di responsabilizzazione, verrebbe reiterato e ripetuto il classico segnale che negli ultimi decenni ha distrutto i conti pubblici: chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato. È questo, in ultima analisi, che invocano gli amministratori degli enti in dissesto, quando si proclamano «non colpevoli» dei dissesti che hanno ereditato, e disquisiscono sulla distinzione fra amministrazioni viziose e comportamenti viziosi, come se un governatore che eredita un dissesto non fosse chiamato a farsene carico.

Su questo punto, invece, hanno sostanzialmente ragione Tremonti e il governo quando stabiliscono che un’amministrazione che dissipa risorse pubbliche ha solo due alternative, eliminare gli sprechi o alzare le tasse, e che l’alternativa di far pagare i territori-formica anche per gli sperperi dei territori-cicala non esiste. E questo per almeno tre buoni motivi.

Primo: gli sprechi di un territorio sono anche privilegi, sotto forma di posti di lavoro superflui, commesse e acquisti generosi con i fornitori, favori di ogni tipo agli amici degli amici; dunque gli aumenti di tasse imposti ai territori in dissesto compensano anni e anni di privilegi indebitamente goduti. Secondo: là dove ci sono meno sprechi, ci sono meno margini per fare tagli, là dove ci sono più sprechi ci sono più margini per riorganizzare, e semmai il punto è che chi è chiamato a farlo dovrebbe disporre di maggiori poteri. Terzo: quando Marchionne si è assunto il compito di rimettere in sesto la Fiat, si è ben guardato dal trincerarsi dietro la «pesante eredità» lasciatagli dai suoi predecessori; sarebbe bello che i governatori delle Regioni in dissesto affrontassero il loro mandato con il medesimo spirito, visto che è anche per rimettere i conti in sesto che hanno chiesto il voto.

Ma l’eventualità di una saldatura tra finiani e meridionalisti non è solo rischiosa per il governo (perché lo indebolirebbe), e pericolosa per il Paese (perché potrebbe finire in un compromesso perverso). È anche una mina vagante per l’opposizione, e in particolare per il Pd. La tentazione di allearsi con i finiani per scacciare il tiranno è molto forte, e si è già manifestata esplicitamente con la promessa di Franceschini di votare tutti gli emendamenti dei finiani al disegno di legge sulle intercettazioni. Il suo prezzo, però, potrebbe essere l’ennesimo rinvio del federalismo, che i finiani, il partito di Casini e una parte dello stesso Pd vedono come una minaccia alla coesione sociale, se non come un attentato all’unità nazionale.

Così il rebus di luglio è completo. Qualsiasi cosa facciano i finiani, il federalismo è in pericolo. Se cedono a Berlusconi sulle intercettazioni, è difficile non pretendano una contropartita, sotto forma di una robusta frenata al federalismo, con conseguente ridimensionamento di Tremonti e ampie concessioni ai governatori del Centro-Sud. Se accettano i voti dell’opposizione per cambiare la legge sulle intercettazioni, è difficile che il nuovo asse politico tra finiani, Pd e Udc non operi nella medesima direzione, quella di un freno al rigore antimeridionalista di Tremonti. Alla fine, chi rischia veramente è la Lega, cui il sogno federalista potrebbe sfuggire ancora una volta proprio sul filo di lana.

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