Scudo totale per il capo dello Stato, retromarcia Pd
L’irritazione del Quirinale, partito in confusione
di Wanda Marra
Retromarcia. Il Pd ieri, dopo il pezzo del Fatto quotidiano, ha ritirato l’emendamento-scandalo al Lodo Alfano con il quale avrebbe regalato al presidente della Repubblica uno scudo totale rispetto ai reati penali, presentato dal senatore e costituzionalista Stefano Ceccanti. Una scelta brusca (ci sono volute meno di 24 ore) per uscire dall’ennesimo pasticcio che avrebbe provocato incalcolabili reazioni a catena. A raccontarlo sono gli stessi membri della presidenza dei Democratici di Palazzo Madama (la presidente Finocchiaro, il vicepresidente vicario Luigi Zanda e i vicepresidenti Felice Casson e Nicola Latorre), che, una volta venuti a conoscenza dell’emendamento, si sono incontrati, hanno parlato con Ceccanti e l’hanno invitato a ritirarlo. Motivazione ufficiale: non era un testo della Presidenza che addirittura “non ne sapeva nulla”, come spiega lo stesso Zanda. Perché Ceccanti “non lo aveva concordato con il gruppo”. Dichiarano esplicitamente dallo staff della Finocchiaro, senza nascondere l’irritazione, di essere venuti a conoscenza di questo testo solo dopo la lettura del Fatto. E che la marcia indietro è stata immediata: anche perché, oltre al merito, questa modifica andava contro la strategia decisa dal Pd, che al Lodo Alfano ha deciso di presentare solo emendamenti soppressivi, visto che lo considera inemendabile.
Da non sottovalutare, poi, l’imbarazzo a cui si sarebbe esposto il Quirinale. Viene da chiedersi, infatti, perché il Capo dello Stato dovrebbe aver bisogno di uno scudo come questo. Tant’è vero che fonti interne al Pd raccontano di un Napolitano “preoccupato” dal possibile effetto boomerang della proposta. Preoccupazione ancora più comprensibile, visto che in qualche modo un emendamento del genere l’avrebbe finito per equiparare Berlusconi. Dal canto suo, il Colle si dichiara estraneo sia alla presentazione dell’emendamento, sia al suo ritiro. Tanto più che trattandosi di legge costituzionale non è richiesta neanche la firma del capo dello Stato. Una smentita categorica. Ma che comunque lascia qualche ombra a rileggere quanto scritto dal costituzionalista Michele Ainis (consigliere del Quirinale) sulla Stampa del 2 luglio, a proposito del Lodo Alfano: “Il vero errore sta nel voto a maggioranza semplice con cui le Camere decideranno l’autorizzazione a procedere verso il capo dello Stato”, che sarebbe “un improprio voto di fiducia” o “un’arma di ricatto”.
Intanto, lui, Ceccanti, costretto in prima persona alla marcia indietro senza possibilità di appello, si difende e ribadisce le sue ragioni. Diceva il suo emendamento: “Al di fuori dei casi previsti dall’articolo 90 della Costituzione (alto tradimento e attentato alla Costituzione, ndr), il presidente della Repubblica durante il suo mandato non può essere perseguito per violazioni alla legge pena-le”. Secondo Ceccanti questo era l’unico modo per evitare che il Quirinale potesse essere messo sotto processo dalla maggioranza parlamentare, magari a lui avversa. Perché l’articolo 1 del Lodo Alfano permetterebbe al Parlamento di dare il via libera, in seduta congiunta, ad eventuali inchieste della magistratura sul presidente della Repubblica. Ceccanti insiste sul concetto di “riduzione del danno” alla base del suo comportamento e ribadisce la sua posizione. Ma poi spiega che ha dovuto chinare la testa per evitare “strumentalizzazioni mediatiche”. Tutta colpa del Fatto, verrebbe da dire. Che “concepisce l’opposizione in maniera lefebvriana”, risponde lo stesso costituzionalista. E anche se nessuno ci sta a parlare esplicitamente di “processo” a Ceccanti, quel che è certo è che le ferme e autonome convinzioni del senatore hanno provocato una brutta mattinata ai suoi colleghi di partito. “Era inopportuno insistere - spiega Latorre - era un pasticcio. Ed era un modo di fare un favore a Berlusconi, che non aspetta altro”. D’altra parte, gli stessi firmatari non hanno esitato a fare un passo indietro. “Ho detto io stesso a Ceccanti di ritirare il suo testo - spiega Casson - quando mi sono reso conto delle gravi controindicazioni che conteneva, prefigurando un foro privilegiato per il Capo dello Stato”. E ammettendo così che, seppur avesse firmato il testo, non sapeva bene cosa ci fosse dentro. A dimostrare lo sbandamento del Pd anche le dichiarazioni di Donatella Ferranti, capogruppo in Commissione Giustizia alla Camera, che si scaglia contro l’estensione voluta dal Pdl nel lodo Alfano affinché lo scudo valga anche per i “fatti antecedenti all'assunzione della funzione”. Un po’ quello che voleva Ceccanti per il Capo dello Stato.
2 commenti:
ORMAI IL PD CI HA ABITUATO ALLE FIGURE DI MERDA ED E' PER QUESTO MOTIVO CHE NON L'HO VOTATO E, ALLO STATO DELL'ARTE, NON LO VOTERO' MAI.
MI FA SPECIE IL SEN. FELICE CASSON (EX P.M. VENETO) CHE CANDIDAMENTE DICHIARA DI AVER FIRMATO L'EMENDAMENTO SENZA AVERE CAPITO BENE DI COSA SI TRATTASSE.
QUI SI DIMOSTRA CHE COSTITUZIONALISTI (CECCANTI) E MAGISTRATI (CASSON) DAVVERO NON SANNO FARE POLITICA E ALLORA LA DOMANDA E': CHE CI STANNO A FARE IN PARLAMENTO?
AGGIUNGO: MENO MALE CHE IL FATTO C'E'"
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