Il presidente della Camera: “In un Paese democratico la libertà di stampa non è mai sufficiente”
di Carlo Tecce
Poche mani ormai reggono il bavaglio chiamato legge sulle intercettazioni. Gianfranco Fini rimuove le sue impronte, ancora una volta: “In un grande Paese democratico la libertà di stampa non è mai sufficiente, deve essere forte e autorevole. Noi abbiamo bisogno di introdurre nell’ordinamento ulteriori norme che tutelino l’accesso ai mezzi di informazione”. E la relazione annuale dell'Autorità di garanzia, nella sala della Lupa di Montecitorio, sembra l'ennesimo ritrovo di nemici al disegno di legge. Corrado Calabrò è l'ultima leva, arruolato volontario a un giorno dallo sciopero dei giornali: “La libertà d’informazione non si tocca, forse va tutelata più delle altre libertà indicate nella Costituzione”. Nel discorso di Calabrò la parola libertà viene citata più di statistiche e percentuali riassunte nel librone dell'Agcom: “Per il Trattato di Lisbona il pluralismo dell'informazione è un principio fondante dell'Unione europea. Un parametro di legittimità – aggiunge il Garante – da valutare con attenzione per qualunque intervento nazionale in materia, compreso le intercettazioni”.
Un attento osservatore l'avrebbe definita la coppia ben assortita, diversi eppure in sintonia, Fini e Calabrò giocano insieme contro il bavaglio. Il presidente della Camera difende i giornali, non dimentica le critiche brasiliane di Berlusconi: “Occorre sconfiggere la vulgata: la carta non è il passato dell’informazione. Senza la stampa sarebbe poca cosa anche l’informazione che viaggia sulla Rete. Al contrario, sarà proprio dall’interazione virtuosa tra l’informazione su stampa e Internet che potranno derivare i frutti migliori degli anni a venire. Internet è il futuro. Ma non abbiamo bisogno di tagli drastici all’editoria, semmai di una selezione di strumenti più appropriati per il sostegno pubblico e bandire ogni forma di intervento clientelare”.
L'acronimo Agcom rimanda all'inchiesta di Trani: le telefonate per bloccare Annozero, le dimissioni di Giancarlo Innocenzi, il rapporto tra
Il presidente Paolo Garimberti e Sergio Zavoli sottoscrivono l’appello di Calabrò. Oltre viale Mazzini c'è il Biscione. Il digitale terrestre potrebbe aiutare a risolvere – in assenza di leggi – il trentennale paradosso di una televisione pubblica stretta tra Parlamento e Cda e il monopolio privato di Mediaset.
Fini rinuncia a una bacchettata sul passato? Giammai: “La svolta televisiva è un’occasione da non perdere per recuperare alcuni decenni di gestione disordinata dell’etere. Dobbiamo garantire gli operatori esistenti e i nuovi secondo un modello di pluralismo e pari opportunità”.
Fabrizio Cicchitto pesa il valore politico del discorso di Fini e corre per ammonirlo: “Il garantismo nasce da un uso politico della legge da parte della magistratura e di un sistema di illegalità e di violazione del diritto, a cominciare dalla tutela della libertà della persona: chi non condivide questo – conclude il capogruppo alla Camera – non capisco su che basi abbia aderito al Pdl”. C'è tempo per un battibecco a distanza. Calabrò è preoccupato: “Con il tasso attuale di diffusione degli smartphone, la nostra rete mobile potrebbe collassare”. E Franco Bernabè (Telecom) rassicura: “Non c'è rischio per l’Italia”.
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