Dell’Utri, Previti, Brancher & Co: tutti “sacrificati” alla giustizia per coprire i segreti e gli affari del Capo
di Gianni Barbacetto
Lui, eterno “utilizzatore finale”, resta al comando. Magari un po’ acciaccato, ma pur sempre premier. Attorno, gli uomini-parafulmine cadono invece a uno a uno. Sono quelli che si prendono le condanne al posto suo, che si assumono le responsabilità, fanno i lavori sporchi. E lui non è più in grado di premiarli, di proteggerli, di sostenerli. L’ultimo è Marcello Dell’Utri: ha fatto da ponte tra Cosa Nostra e Berlusconi fin dagli anni Settanta, quando Silvio lo ha chiamato da Palermo affinché gli risolvesse il problemino delle minacce che “i siciliani” avevano rivolto alla sua famiglia. Adesso Marcello è condannato in Appello a sette anni per mafia. Hanno un bel dire, i suoi, che è andata bene, che Forza Italia resta fuori dalla partita. Intanto, se
Polizza Cosa Nostra
Dell’Utri è quello che ha fatto di più per l’amico Silvio. Ha lasciato il lavoro in banca e la sua città per volare a Milano, dove ha stipulato per il suo nuovo datore di lavoro una singolare polizza d’assicurazione: con Cosa Nostra, che l’ha più volte rinegoziata con lui, nell’arco di quasi quarant’anni. L’arrivo ad Arcore del boss, Vittorio Mangano l’eroe, che s’installa a villa San Martino, è il suggello di quell’accordo. Quando poi l’imprenditore resta senza padrini politici, causa crollo della Prima Repubblica, ed è costretto a farsi politico lui stesso, è Marcello Dell’Utri a trasformare un pezzo di Publitalia in Forza Italia.
I Lodi di Cesare
Protagonista dell’anno zero del Berlusconi imprenditore è anche Cesare Previti. Nello studio professionale del padre, a Roma, nasce
Sacra famiglia
Il fratello minore, Paolo Berlusconi, è il parafulmine di famiglia. Non soltanto quando ha rilevato la proprietà del Giornale, per aggirare la legge Mammì che stabiliva che chi possiede tv non può possedere quotidiani. No, Paolo ha fatto anche da schermo giudiziario a Silvio: fin da Mani pulite, quando viene arrestato e lascia il Palazzo di Giustizia di Milano nascosto nel bagagliaio di un Fiorino beige. Era il 1994 e i magistrati milanesi avevano scoperto un giro di tangenti pagate alla Finanza per chiudere più d’un occhio sui conti di molte aziende coinvolte inverifiche fiscali. Quattro di queste appartenevano a Berlusconi (Videotime, Mediolanum, Mondadori, Telepiù). Dapprima fa barriera un altro parafulmine di Silvio, il direttore centrale dei servizi fiscali Fininvest, Salvatore Sciascia. Ricercato, si costituisce il 25 luglio 1994 e confessa tre tangenti, tacendo quella più delicata (Telepiù). Si proclama però vittima di concussione: obbligato a pagare dalle pressioni dei finanzieri. Ma chi lo autorizzava a pagare? Alla domanda di Antonio Di Pietro, risponde: “Era Paolo Berlusconi, che mi faceva pervenire queste somme in buste chiuse che faceva depositare nella cassaforte dell’Istifi, la banca interna del gruppo. Io quindi venivo avvertito e ritiravo la busta con sopra il mio nome”. Il giorno dopo, i magistrati preparano la richiesta d’arresto per Paolo Berlusconi, che si consegna il 29 luglio. Ammette che erano i finanzieri a taglieggiare
Ricompense e abbandoni
Quanto a Brancher, la storia è calda. Arrestato nel 1993 per le tangenti degli spot Aids sulle reti Fininvest, si addossa tutte le responsabilità. Salva così Fedele Confalonieri e Silvio Berlusconi, tanto da meritarsi, 17 anni dopo, un posto di ministro a non si sa che. Silvio è così: è generoso, vuole compensare i suoi scudi umani. Li sostiene, li fa ministri (Previti, Brancher), parlamentari (Berruti, perfino Mariella Bocciardo, la prima moglie di Paolo Berlusconi). Ma non sempre funziona. Il meccanismo si è inceppato. Lui, l’“utilizzatore finale” di reati che pagano sempre gli altri, non riesce più a mantenere le promesse.
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