Prende le distanze da Pasquale Lombardi, il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo. I rapporti non erano così stretti. E, in ogni caso, non avevano bisogno l'uno dell'altro. Caliendo non aveva bisogno di Lombardi. E Lombardi non aveva bisogno di Caliendo, perché era uno che aveva molte conoscenze, tutte frutto dei suoi, personalissimi, rapporti. «Era uno potente». Parte proprio dall'amicizia con "Pasqualino" il racconto che Caliendo ha fatto al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e al sostituto Rodolfo Sabelli che lo hanno interrogato venerdì.
«Io e Lombardi ci conosciamo da tantissimi anni, una ventina, direi. Per molto tempo non ci siamo sentiti, poi, più o meno da quando io sono in via Arenula, il nostro rapporto, a lungo quasi inesistente, si è intensificato. Abbiamo iniziato a frequentarci con una certa costanza soprattutto a causa del centro studi Diritti e Libertà in cui lui mi ha fatto entrare». Risponde così, il vice Guardasigilli, alla richiesta di un chiarimento sulla confidenza che, nelle intercettazioni dell'informativa del nucleo investigativo dei carabinieri di Roma, si percepisce tra lui e il "giudice tributarista" arrestato l'8 luglio per l'inchiesta sulla P3.
Telefonate, tante, tra "Giacomino" e "Pasqualino". «Chiamava sempre – ha spiegato Caliendo – ma io non gli davo corda. Lui chiedeva molte cose a cui io non davo seguito. Io non avevo bisogno di lui. E, a dire la verità, lui non aveva bisogno di me: per molti è un interlocutore stimato. È uno che conta». Un'autorevolezza, quella di Lombardi, che forse deriva proprio dalla sua attività. «Non certo da me o dal suo rapporto con me», ha spiegato il sottosegretario indagato per la violazione della legge Anselmi sulle società segrete. Accusa in cui il numero due del ministero della Giustizia non si riconosce: «Non ho mai fatto parte di alcuna associazione», ha detto.
Caliendo ha escluso qualsiasi pressione per il Lodo Alfano: «Se avessi voluto contattare i giudici della Corte Costituzionale lo avrei fatto da me, non avrei avuto bisogno di ricorrere a Lombardi. Molti li conosco direttamente e in quel periodo li ho anche incontrati di persona». Sarebbero questi, con ogni probabilità, i testimoni di cui Caliendo, all'uscita dalla procura, ha detto di aver fatto i nomi. Giudici della Consulta che possono confermare di avere con lui un rapporto di amicizia o, comunque, di averlo visto nei giorni della decisione sul lodo.
Accuse respinte anche sulle pressioni che avrebbe esercitato per favorire un'ispezione al tribunale a seguito dell'esclusione della lista di Formigoni per le elezioni regionali del 2010. «Non ho fatto nulla di simile», ha detto il vice ministro. E ai pm che chiedevano conto delle numerose conversazioni sul tema con Lombardi (ad un certo punto, in una delle varie intercettazioni, il 12 marzo scorso, Caliendo perde la pazienza con un Lombardi che insiste per avere notizie dell'ispezione: «L'ho chiesto trenta volte, basta!»), ha chiarito: «La persona a cui mi riferivo non era il ministro, ma qualcuno della segreteria a cui chiedevo se era arrivata la denuncia del Governatore. Atto che ho analizzato ma che non aveva spunti per prevedere un'ispezione che, infatti, non ho predisposto».
Il sottosegretario glissa anche sul pranzo a casa Verdini: «Ci sono stato appena mezz'ora». L'unica cosa alla quale, invece, ammette di aver "partecipato" è la nomina di Alfonso Marra alla presidenza della Corte d'Appello di Milano: «Conoscevo entrambi i candidati, Marra e Rordorf, e, secondo il mio parere, il primo aveva un curriculum che lo rendeva più adatto. Parere che ho espresso apertamente». Parole che i pm stanno valutando con attenzione. Domani, intanto, verrà sentito, come persona informata sui fatti, il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni.
(01 agosto 2010)
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