di ILVO DIAMANTI
Anzitutto (ma non solo, come si dirà più avanti), nella maggioranza. Se si fa riferimento al formato della competizione elettorale del 2008, PdL e Lega continuano a prevalere sull'intesa Pd-IdV. Certo, il PdL appare in difficoltà, viste le tensioni interne - e, infatti, com'era prevedibile, Berlusconi ha congelato la scadenza elettorale. Per ora. Mentre Bersani ha aperto al "nuovo Ulivo", che, tradotto in termini pratici significa allargare la coalizione oltre l'IdV, come nel 2006. Si tratta, comunque, di lavori in corso. Per cui il PdL, ma soprattutto
Allora, in vista delle elezioni dell'anno successivo, decisero di abolire la competizione uninominale (dove si eleggevano i tre quarti dei parlamentari), a favore di quella proporzionale (dove il centrodestra otteneva risultati molto migliori). Con tre innovazioni, importanti e significative. L'attribuzione di un premio di maggioranza alla "coalizione" e non al partito vincente. L'indicazione del candidato premier. L'introduzione delle liste bloccate e la conseguente abolizione delle preferenze. In questo modo, il centrosinistra perdeva il suo vantaggio. Mentre il dominus diventava il leader capace di fare coalizione. E, soprattutto, di costringere gli alleati a rispettarla, con le buone o le cattive (cioè: Berlusconi assai più di Prodi e dei successori). Mentre la probabilità di venire eletti, per i candidati, dipendeva dalla loro posizione in lista. Con l'esito di aumentare enormemente il potere delle segreterie centrali e dei "padroni" dei partiti, che detenevano e detengono il controllo delle candidature.
Da ciò i diversi ostacoli - e i diversi nemici - di fronte a ogni cambiamento di questa legge. Vi si oppongono il PdL e
Nel Pd si incontrano posizioni diverse e lontane. Vi sono componenti disponibili a ipotesi proporzionali, magari di tipo tedesco (i gruppi dirigenti maggiormente ancorati all'esperienza dei vecchi partiti, Popolari e Ds). Mentre altre sono attaccate al principio maggioritario e bipolare, se non più bipartitico (i veltroniani, i prodiani "puri", come Parisi). Morale: costruire una maggioranza parlamentare intorno a una legge elettorale continua ad essere molto complicato.
Tanto più perché i "riformatori" pensano a reintrodurre il principio di responsabilità "personale", attraverso le preferenze, nel voto di lista, oppure attraverso l'uninominale di collegio, che rende più stretto il rapporto fra candidati ed elettori. E sottrarrebbe, in parte, ai gruppi dirigenti nazionali il controllo sul partito. Una ragione sufficiente per ritenere non solo utile, ma necessaria una nuova legge elettorale. Che restituisca maggior potere agli elettori e al territorio.
Per questo merita attenzione il progetto di riforma, in senso uninominale, promosso da un comitato di politici e studiosi autorevoli. Dove, peraltro, prevalgono i politici del Pd ma, anzitutto, i radicali. Poi, i finiani. Mentre gli esponenti del PdL sono pochi (ne abbiamo contati 6-7 su 40, perlopiù di impronta liberale e radicale).
Ma se i parlamentari sono tiepidi, neppure gli elettori sembrano sensibili a questa materia. Mobilitarli è sempre più difficile, visto che, da oltre 15 anni, i referendum elettorali non raggiungono il quorum. Da ultimo, quello organizzato nel 2009 (mirava ad attribuire al partito il premio di maggioranza previsto per la coalizione). Vi partecipò il 23% degli elettori. L'affluenza più bassa della storia repubblicana.
Prova inequivocabile che le leggi elettorali, da sole, non riescono più a scaldare il cuore. Tuttavia, fondano la democrazia rappresentativa. Possono valorizzare o scoraggiare la responsabilità dei leader politici di fronte ai cittadini. Accentuare o vanificare le possibilità di comunicazione e di controllo della società nei confronti dei leader. Se l'attuale legge garantisce alle oligarchie di partito e ai leader nazionali un potere senza verifica, il problema è spiegarlo ai cittadini. Farne un obiettivo condiviso e "significativo".
Coinvolgendo gli attori che, da tempo, conducono campagne civili, a livello nazionale e globale. Oltre che nella società: sulla rete e attraverso i media. Il problema è dare significato politico e sociale alla tecnicalità istituzionale. Farla uscire dalla cerchia degli addetti ai lavori. Come nei primi anni Novanta, quando i referendum elettorali divennero il simbolo della lotta contro il vecchio sistema e i vecchi partiti. Oggi, quel sistema non c'è più, neppure quei partiti. Ma le cose, nel rapporto fra i cittadini e la politica, non sono cambiate molto. Anzi: nella società la delusione ha preso il posto dell'indignazione. Per mobilitare di nuovo i cittadini occorre convincerli che cambiare la legge elettorale significa cambiare davvero. Non sarà facile. Ma vale la pena di provarci.
(30 agosto 2010)
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