
di Bruno Tinti
Per un po’ ho diretto una piccola Procura. Fra l‘altro ho distribuito le somme destinate a pagare il lavoro straordinario del personale. L’ufficio era piccolo, le somme modeste. D’abitudine si distribuivano “a pioggia”: 20 dipendenti, 2 milioni di lire, 100.000 lire a testa. La cosa mi sembrò ingiusta; la mia segretaria arrivava in ufficio alle 8,30, mangiava un panino insieme con me e, quando io andavo via, verso le 7, era ancora lì. Anche un’altra segretaria si comportava così. Inutile dire che lavoravano in maniera eccezionale.
Il resto del personale alle 14 era in fila avanti alla bollatrice, tornava in ufficio due volte alla settimana per due ore (erano i cosiddetti rientri obbligatori) e non sempre le loro prestazioni professionali erano accettabili.
Sicché la distribuzione “a pioggia” mi parve ingiusta: 2 milioni di lire erano una somma ridicola rispetto alle ore extra; ma che almeno venissero distribuite tenendo conto della quantità e della qualità del lavoro. Così feci un conto delle ore complessive e del compenso orario consentito da quei pochi soldi e li divisi per le ore di lavoro di ognuno: il che significò poche lire a quasi tutti, la restante somma alle due segretarie.
Successe il finimondo, partì un ricorso ai sindacati e io mi trovai a partecipare a una riunione di sindacalisti e personale inferocito.
Cercai di spiegare ma era come parlare al vento; allora decisi di tenere un verbale della riunione: in fondo era il mio mestiere.
Scrissi accuratamente tutto quello che dicevano i sindacalisti (un riassunto di cose notissime sui diritti dei lavoratori e i principi di uguaglianza) e, quando toccò a me, mi limitai a fare nomi e cognomi: scrissi che Silvana ed Enrica avevano lavorato per qualche centinaio di ore senza alcuna prospettiva di essere pagate e che erano sempre state disponibili; e invece Pinca e Pallino, pur diligenti, alle 14 se ne erano sempre andati, in qualche caso rifiutando di far fronte a qualche emergenza (in una Procura le emergenze sono la norma); quanto a Scansafatiche, Pigrona e Isterica, non solo di restare dopo le 14 manco se ne parlava, ma spesso avevano mandato certificati medici improbabili e avevano commesso errori e omissioni che erano costati la fine prematura di qualche processo.
Vedere tutto scritto nero su bianco spaventò sindacalisti e personale protestario; così, pur di evitare la lista dei buoni e dei cattivi in un documento ufficiale, abbandonarono la lotta e accettarono la distribuzione secondo i miei criteri.
Tanto per non far cantare vittoria ai lettori (chissà quanti) che condividono la mia decisione di allora, dico subito che, l’anno successivo, intervenne la Procura Generale che si fece mandare i soldi destinati al mio ufficio e li distribuì personalmente. Con quale criterio? Naturalmente “a pioggia”; quell’anno e gli anni successivi. Della serie, evitiamo grane.
Perché racconto tutto questo? Ecco, mi è venuto in mente seguendo le vicende di Marchionne, della Fiat, di Pomigliano, di Melfi. Mi sono chiesto cosa c’è di sbagliato nel non voler pagare premi di produttività agli assenteisti, nel voler agganciare la produttività dei lavoratori alla partecipazione ai profitti dell’azienda, nel richiedere regole certe sulla flessibilità degli orari, sullo sciopero, il salario e i contratti. Poi mi sono detto di farmi gli affari miei, chi diavolo mi credevo di essere? Però questa cosa della distribuzione dei 2 milioni ha continuato a girarmi in testa …

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