

LIANA MILELLA
Non se l'aspettavano neppure Alfano e Ghedini una retromarcia così improvvisa sul processo breve. Al punto che l'uscita del Cavaliere li spiazza entrambi. E li costringe a lambiccarsi il cervello per trovare una nuova e definitiva "soluzione tombale", per ripetere l'espressione che con loro usa il premier. Esasperato, infastidito dai calcoli che vede fare sui rapporti tra effetto delle leggi e scansioni dei suoi dibattimenti, Berlusconi ha gridato: "Adesso basta con tentativi che vanno a vuoto e provocano solo tensioni politiche. Se siete capaci, fate la legge giusta e che possa stare bene a tutti, Quirinale compreso".
E per questo pure lui fa morire il processo breve, ma in un accavallarsi di frasi ipotetiche, di congiuntivi e di condizionali. Come questa: "Per quanto mi riguarda, dentro la mozione, non dovrebbe esserci il processo breve". Chi gli sta accanto e ha sostenuto fino a ieri quel provvedimento, si difende: "Ma l'avete letta bene questa frase? Lui parla per sé, come capo del governo. Ma il partito è un'altra cosa. E di mezzo c'è Fini. Non è affatto detto che il processo breve scompaia effettivamente e del tutto dalla scena politica. È alla Camera, è in commissione giustizia, è una legge sacrosanta, può andare avanti. Ma Berlusconi a una cosa tiene, che non si dica più che è fatto solo per lui".
Chi vive gomito a gomito con il premier racconta che in realtà, a frenarlo, siano stati altri calcoli. Innanzitutto il pessimo esito del colloquio di giovedì tra Alfano e Napolitano. Berlusconi si è convinto, quando il Guardasigilli glielo ha riferito punto per punto, che ogni sforzo per mandare avanti quel ddl è inutile, perché il Quirinale è ben deciso a non dare garanzie su una legge che, per garantire la chiusura dei suoi dibattimenti, ne fa morire anche molti altri. Non solo. Studiati i tempi, Berlusconi si è reso conto che la legge, per ben che vada, necessita di molti mesi alla Camera e poi deve andare al Senato. Se si va alle elezioni anticipare in primavera, comunque non potrà essere approvata in tempo, mentre sui giornali, per settimane e settimane, non si farà che parlare dei suoi processi e delle sue leggi ad personam. Nel frattempo,
Ma l'effetto non cambia. Comunque l'arma del processo breve è spuntata. E si passa ad altro. Processo lungo, nuovo legittimo impedimento, lodo Alfano costituzionalizzato. Il ddl di Enrico Costa, il capogruppo del Pdl in commissione Giustizia e fedelissimo di Ghedini, sarà presentato in settimana. Risponde a un'esigenza che Berlusconi ha ben chiarito ad Alfano e Ghedini: "Adesso lavorate bene sulla prescrizione, per i miei processi non è rimasto più molto tempo, magari riusciamo a chiuderli in modo normale, evitando lo stillicidio di altre leggi". E in effetti, per i casi Mills, Mediaset e Mediatrade, siamo agli sgoccioli. I legali sono convinti che nessuno dei tre arriverà mai in Cassazione perché i termini della prescrizione scadranno prima. Ottenere lunghe liste di testimoni e non utilizzare le sentenze definitive (per il caso Mills), come stabilisce la legge Costa, può aiutare il Cavaliere a raggiungere la prescrizione. Poi, per rallentare i tempi della Consulta, non resta che cambiare il legittimo impedimento, rinunciando a qualcosa cui pure i difensori del premier tengono, come la sospensione continuativa e resa obbligatoria dalla lettera della presidenza del Consiglio.
Tentativi di una via d'uscita, tutto con un autentico rimpianto: non aver fatto, sin dal primo giorno della legislatura, il lodo Alfano costituzionale, l'unica soluzione che avrebbe evitato tante polemiche. È il rimprovero che il premier muove a chi, per lui, si occupa di giustizia. Ma ormai è tardi.
(05 settembre 2010)

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